L’udito di un miliardo di giovani è a rischio, anche per colpa della musica alta. Il 50% delle persone di età compresa tra 12 e 35 anni, pari a oltre un miliardo di giovani, rischia danni all’’udito a causa della prolungata esposizione a suoni forti, compresa la musica ascoltata in cuffia. In vista della Giornata Mondiale dell’Udito, il 3 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS – e l’International Telecommunication Union -ITU, hanno emesso un nuovo standard internazionale per la produzione e l’uso di dispositivi come smartphone e lettori audio, in modo da renderli più sicuri per l’ascolto.
L’esposizione al rumore può danneggiare il nostro apparato uditivo. Si tratta di danni anatomici e funzionali proporzionali all’intensità, alla durata dell’esposizione e alla suscettibilità che ogni persona ha nei confronti del rumore. Rumori molto forti, come ad esempio le esplosioni, possono provocare la perforazione del timpano. Quelli intensi, ma di breve durata, possono provocare un malfunzionamento delle cellule ciliate dell’orecchio interno. Lo stesso danno, che si instaura però progressivamente, può comparire anche in caso di esposizione prolungata a suoni di intensità superiore a 75-85 decibel. Inizialmente il deficit uditivo, indipendentemente dal tipo di rumore che lo ha provocato, riguarda soprattutto le cellule sensoriali, quelle attivate dalle frequenze comprese tra 3 e 6 kHz. Questo si verifica a causa dell’effetto di risonanza del condotto uditivo esterno. Inoltre, recenti osservazioni sperimentali sembrano supportare la possibilità che l’esposizione al rumore possa danneggiare anche le fibre del nervo acustico e i centri nervosi.
Già negli anni ’50 gli studiosi avevano messo in luce come la soglia audiometrica, l’intensità minima del suono che si è in grado di percepire, fosse più elevata negli abitanti di contesti urbani rispetto ai contesti rurali. Da allora, l’inquinamento acustico è ulteriormente aumentato e, infatti, i giovani esaminati a metà del ‘900 mostravano una soglia uditiva migliore rispetto ai coetanei valutati nei decenni successivi. Hanno contribuito ad aggravare il fenomeno alcuni stili di vita contemporanei: abitudine a trascorrere molto tempo fuori casa soprattutto nei centri ad alta densità abitativa, abuso di alcol, fumo, obesità, ipertensione, diabete e ipercolesterolemia. Inoltre, la fruizione della musica è decisamente cambiata, negli ultimi 40 anni le discoteche hanno raggiunto livelli di rumorosità tali da poter danneggiare l’udito di chi le frequenta abitualmente e per molto tempo. Infine, negli ultimi 20 anni si è assistito alla diffusione di massa dell’ascolto di musica in cuffia: gli strumenti possono produrre livelli massimi di suono potenzialmente otolesivi. Il 90% dei ragazzi fra 12 e 19 anni utilizza i riproduttori musicali, di questi la metà ammette di tenerli ad alto volume e uno su tre di usarli molto spesso.
Oltre il 5% della popolazione mondiale – 466 milioni di persone – ha una riduzione dell’udito che incide sulla qualità della vita. Si stima che entro il 2050 oltre 900 milioni di persone, una su 10, avrà una perdita uditiva disabilitante. La metà di tutti i casi di ipoacusia può però essere prevenuta attraverso misure di sanità pubblica. Di qui la necessità di dotare i dispositivi di ascolto di norme alla produzione che li rendano sicuri, troppi decibel sono nocivi. Il nuovo standard OMS-ITU raccomanda che includano: la funzione Sound allowance, un software che tiene traccia del livello e della durata dell’esposizione al suono; un profilo di ascolto individuale basato sulle pratiche di ascolto, che informa l’utente di quanto ha ascoltato in modo sicuro e fornisce spunti di azione basati su tali informazioni; opzioni di limitazione del volume, tra cui la riduzione automatica e il controllo da parte dei genitori. Infine, informazioni generali per gli utenti su pratiche di ascolto sicure.
Giorgia Andretti