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Giovani e violente, le adolescenti del futuro

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Agli inizi della mia attività di medico, nel lontano 1984 tutti dovevamo fare uno tirocinio di sei mesi in Pronto Soccorso, il mio è stato presso il Pollicino Umberto 1° di Roma e, lì ho visto davvero di tutto: dagli incidenti alle violenze. Aver appreso delle due ragazze soccorse, una di Castelbelforte e l’altra di Trieste, il mio pensiero è andato immediatamente ai medici che hanno dovuto prestare soccorso. Posso solo immaginare cosa hanno provato i colleghi quando sono intervenuti sulle ferite provocate dalla violenza perpetrata da coetanee, io avrei provato rabbia. Qualcuno penserà, ma come, proprio la dottoressa che ha scritto un libro sulla rabbia si esprime così?  Ebbene sì, la rabbia assume connotazioni diverse a seconda dell’intenzionalità. Non possiamo dimenticare che le cicatrici da sutura con il tempo si attenueranno, ma le altre cicatrici, quelle della psiche per essere state in pericolo di vita per mano di compagne di classe o amiche, resteranno nell’animo delle due vittime per sempre.

La rabbia è il substrato fondamentale dell’aggressività

L’aggressività è stata indispensabile per la nostra sopravvivenza ed è presente in tutte le specie animali, compresi gli umani. La rabbia meglio definita come aggressività, è uno stato emotivo innato da educare nei primi anni di vita, infatti, è grazie a questo stato emotivo se ci siamo assicurati nel tempo le risorse per la sopravvivenza e per difenderci.  L’aggressività però è anche un comportamento recepito come un non far del male a chi non desidera essere danneggiato ed ecco che entra in gioco l’aspetto cognitivo dell’atto aggressivo, ovvero la percezione dell’atto aggressivo messo in atto.  Il livello di percezione di un comportamento aggressivo ne genera due diverse tipologie: l’aggressività emotiva o impulsiva e l’aggressività di tipo cognitivo.

L’aggressività emotiva è il risultato delle emozioni estreme che si vivono in quel particolare momento in cui aggrediamo e non è finalizzata a creare risultati positivi, ad esempio: quando una madre urla al proprio figlio per qualcosa che lo sta mettendo in pericolo. Questo è un tipo di aggressività emotiva: viene messa in atto nella foga del momento. La mia ipotizzata rabbia nel vedere una ragazza in pericolo di vita, per essere stata colpita ripetutamente con delle forbici, provocandole ferite tali da mettere in pericolo la vita, è una rabbia di tipo emotivo.

L’aggressività di tipo cognitivo si configura come un’aggressione intenzionale ed è pianificata. Questo tipo di aggressione ha lo scopo di ferire qualcuno per ottenere una ricompensa indipendentemente se monetaria o di prestigio. Un bullo colpisce il più debole per ottenere consenso tra i coetanei, un terrorista uccide per ottenere visibilità politica, un sicario uccide per soldi, questi sono tutti buoni esempi di aggressione cognitiva. L’aggressività è tale indipendentemente dal mezzo usato: armi, utensili, mani o calci. Le ragazze di Castelbelforte e l’amica della ragazza di Trieste hanno ben pianificato la loro aggressività, questa si configura come una aggressività di tipo cognitivo. Le prime due hanno attirato la ragazza in un giardinetto portando con loro delle lunghe forbici con le quali hanno colpito ripetutamente la coetanea al volto, collo e braccia, lasciandola a terra sanguinante. La stessa cosa è capitata alla ragazza di Trieste, anche lei ferita in strada con un coltello. L’arma utilizzata per aggredire: un paio di lunghe forbici da cucina ed un coltello, identificano immediatamente l’aggressività di tipo cognitivo e quindi consapevole e finalizzata. Quale necessità avrebbe una ragazza di 13 o 14 anni di andare in giro con un’arma bianca?

Quando lo stato emotivo della rabbia inizia a farsi sentire proviamo a mettere in pratica piccole strategie per limare l’insofferenza.

Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta CBT, laureata in psicologia clinica

Consulente Tecnico in Psichiatria per Tribunale Penale di Roma

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