Introdotta nel 1975, questa formula prevede che i coniugi dispongano paritariamente dei beni familiari
La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha introdotto come regime legale del matrimonio la comunione dei beni (cosiddetta comunione legale) con una innovazione rispetto alla disciplina vigente precedentemente che prevedeva, come regime, quello di separazione dei beni.
Dunque, tutte le coppie che dall’entrata in vigore della riforma (20.9.1975) si sono sposate senza stipulare una convenzione matrimoniale diversa (prime fra tutte la separazione dei beni) si troveranno automaticamente in regime di comunione.
La comunione legale può dunque essere scelta dai coniugi oppure automaticamente applicata al regime patrimoniale della famiglia nel caso in cui essi non si pronuncino, per disinteresse o per ignoranza.
Essa prevede che i coniugi siano contitolari in parti uguali di tutti gli acquisti successivi al matrimonio (salvo alcune eccezioni previste dalla legge) e che gestiscano il patrimonio della famiglia con uguali poteri.
Il fondamento del regime patrimoniale della comunione legale sta nell’esigenza di realizzare nel modo più pieno quella comunione di vita a cui dovrebbe portare il matrimonio anche sotto il profilo patrimoniale, consentendo così uguale partecipazione alle ricchezze prodotte da entrambi i coniugi durante il matrimonio.
Presupposto è che le ricchezze, anche se provengono dall’attività lavorativa o dai beni di un coniuge, sono in realtà frutto dell’impegno e dei sacrifici comuni di entrambi.
Non è consentita, però, una “comunione universale”: infatti anche in un regime di comunione alcuni beni resteranno nel patrimonio personale dei coniugi.
Rimangono infatti esclusi dalla comunione i beni acquistati prima del matrimonio da ciascun coniuge e anche certi beni particolari acquistati successivamente alla celebrazione, come ad esempio i beni strettamente personali (es. i vestiti), i beni occorrenti per esercitare l’attività lavorativa, i lasciti testamentari, i beni ottenuti a titolo di risarcimento dei danni.
Alcuni beni, infine, cadono in comunione solamente se non consumati al momento in cui la stessa si scioglie: di questa fanno parte i proventi dell’attività separata (sia somma di denaro che qualsiasi altro bene corrisposto per compensare il lavoro svolto, per hobby o per professione) o anche gli utili dell’attività di impresa di ciascuno dei due coniugi.
Ciascun coniuge ha la libera disponibilità dei beni comuni (fermo restando il dovere di contribuzione per il mantenimento della famiglia) ma allo scioglimento della comunione essi dovranno essere divisi.
Il potere di amministrare la comunione e di rappresentarla in giudizio spetta ad ambedue i coniugi per gli atti di ordinaria amministrazione e disgiuntamente per quelli di straordinaria amministrazione (ovvero gli atti che apportano sostanziali modifiche al patrimonio della comunione, ad esempio una vendita di immobili).
La comunione si scioglie per accordo dei coniugi (a prescindere dal finire del rapporto matrimoniale) oppure per scioglimento del matrimonio o morte di un coniuge o per fallimento di un coniuge o per cattiva amministrazione della comunione (con pronuncia del giudice).
Dott.ssa Maria Antonietta Zuccalà
Avvocato, esperto di diritto di famiglia