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Come rispondere alle parole: guerra e morte

raccontare la guerra
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La presenza dei media inevitabilmente entra a far parte della quotidianità delle famiglie, imponendo una informazione destinata agli adulti ma che, il più delle volte, per fasce di ascolto, è aperta anche ad un pubblico fanciullesco, che di tutto ha bisogno tranne di ascoltare gli eventi negativi della vita, soprattutto dopo due anni di limitazioni e timori per la pandemia. Oggi i bambini sentono parlare di guerra e morti, ascoltano e vedono in tv e sugli smartphone immagini di bombe, carri armati, esplosioni e gente che fugge con i bambini in braccio. È inevitabile che chiedano il significato, alcuni di loro potrebbero non chiedere, anche se, purtroppo, le immagini di disperazione resteranno impresse per sempre nei loro occhi. Per questo motivo è necessario tranquillizzarli, senza però nascondere loro la verità. I fatti ovviamente vanno riportati in base alle loro reali capacità di comprensione.

Se fanno domande sulla guerra? È giusto rispondere.

Mai dire: non preoccuparti, continua a giocare. Così non li si rende consapevoli e non si rassicurano su immagini spaventose. Possiamo rispondere loro partendo da molto lontano, dicendo che, all’inizio della storia dell’uomo sulla terra, quando tutto doveva essere bello e tranquillo, accadevano delle cose non piacevoli. Si può raccontare di Caino e Abele, delle guerre tra i Romani e gli Etruschi o della guerra di Troia.  A quel tempo non esisteva la televisione ma tutti parlavano e raccontavano di queste storie ai nipoti ed ancora ad altri nipoti perché tutti volevano e dovevano sapere. Oggi la televisione fa correre le notizie più velocemente delle storie raccontate ma le notizie sono sempre le stesse: guerre tra popoli, persone che vengono uccise, sono eventi che avvengono, per fortuna non troppo spesso in natura, proprio come i terremoti o le alluvioni. Anche la curiosità degli uomini è sempre la stessa, quasi tutti gli adulti ascoltano il telegiornale per sapere cosa accade nel mondo anche se purtroppo le notizie che ci arrivano oggi non sono belle. Però, una lezione di vita da queste notizie ci arriva direttamente al cuore: possiamo imparare a non bisticciare tra di noi, diciamo che la notizia della guerra deve farci diventare più buoni. Infatti, dalle brutte notizie gli adulti possono capire e quindi evitare il ripetersi delle guerre che disturbano il mondo sia dei bambini sia degli adulti.  Purtroppo però, le guerre ogni tanto tornano a far parlare di loro.

Cosa rispondere alla richiesta: la guerra arriverà da noi e possiamo morire?

Tutti dobbiamo avere fiducia nella bontà delle persone e se ognuno di noi lavora bene per il benessere dell’umanità la guerra non arriverà nelle nostre case. La metafora del gioco degli scacchi può darci una mano nello spiegare ulteriormente la guerra. A proposito della domanda se possiamo morire, è di fondamentale importanza, far assimilare ai bambini il concetto che nella vita tutto e tutti hanno un inizio ed una fine. Possiamo quindi iniziare dicendo: capita spesso di leggere nelle favole, di alcuni personaggi che muoiono o di vedere dei film dove uno degli interpreti perde la vita. La morte quinci esiste perché esiste la vita, tutto ciò che è vitale, respira, si nutre e cresce è destinato a finire, l’unica cosa che non possiamo sapere è quando capiterà di perderla. La morte di ogni persona non può essere decisa da nessuno e nessuno di noi può opporsi a questo evento perché dipende dalla natura. dobbiamo solo essere fiduciosi e che vivremo il più a lungo possibile, anche fino a cento anni.  Non dimentichiamo che i ragazzini a questa età sono curiosi e per questo ricettivi al massimo, hanno quindi bisogno di avere notizie reali ma anche di essere rassicurati. Per affrontare il discorso delle avversità della vita, e quini della guerra e della morte sarebbe buona cosa rivedere insieme ai nostri figli il film oscar – La vita è bella – di Benigni, per apprendere ed insegnare ai nostri ragazzini che la felicità e benessere è nel modo di affrontare la vita in generale.

Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta CBT, laureata in psicologia clinica

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