La rino-sinusite è l’infiammazione dei seni paranasali, cioè le fosse profonde che stanno al di sopra e internamente rispetto alle vie respiratorie esterne. Si tratta di una situazione molto comune anche nei primi anni di vita ed è causata dall’elevata frequenza delle infezioni delle prime vie aeree: è stato calcolato che un bambino va incontro almeno otto volte all’anno, nei primi tre anni di vita, ad episodi di infezione respiratoria e il numero scende a sei episodi dopo questa età fino ai sei-sette anni. Circa il 10% di questi processi infettivi finisce con l’interessare i seni paranasali, quindi un bambino soffre, nel periodo che va dalla nascita all’inizio della scuola primaria, dai due ai quattro episodi di rino-sinusite acuta.
Le tre forme di rino-sinusite sono: acuta, sub-acuta e cronica. Queste si distinguono per la durata dei sintomi: circa trenta giorni nelle forme acute, fino a tre mesi per le sub-acute e oltre tre mesi per i casi cronici. In pediatria le forme acute sono le più frequenti, anche se non è affatto raro diagnosticare casi nei quali il processo diviene cronico, caratterizzato da frequenti riacutizzazioni che si instaurano su di un terreno persistentemente alterato. Tra le forme acute si distinguono i casi lievi, costituiscono il 90% del totale e quelli gravi che, pur rappresentando una minoranza sul piano quantitativo, possono assumere un decorso clinico serio e complicarsi in patologie di estrema importanza come la meningite o l’ascesso cerebrale, fortunatamente oggi rarissimi grazie alla diagnosi tempestiva e all’uso di antibiotici. Nei casi acuti lievi uno dei problemi di estrema importanza è distinguere la rino-sinusite dal comune raffreddore. S può parlare di rino-sinusite solo se la sintomatologia del comune raffreddore persiste per più di dieci giorni.
La rino-sinusite può complicarsi con la sovrapposizione di batteri già presenti a livello del naso e della faringe. Questo spiega perché il trattamento di base impiega antibiotici e altri farmaci attivi sui germi più comuni come Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae e Moraxella catarrhalis. Lo stesso vale per le forme subacute e per quelle croniche, ovviamente con adattamenti per quanto concerne la durata e la scelta delle molecole. In tutti i casi, ma soprattutto nelle forme croniche, alla terapia antibiotica può essere utile aggiungere ogni altra forma di intervento terapeutico, ma soprattutto deve essere migliorato il ripristino della normale funzionalità della mucosa respiratoria e la rimozione delle secrezioni nasali.
Il lavaggio nasale trova particolare indicazione soprattutto nei casi in cui il semplice ricorso agli antibiotici può non risultare mai completamente risolutivo. In pediatria poi, l’uso di ogni forma di intervento atto a rimuovere le secrezioni nasali anche in presenza di un banale raffreddore può risultare estremamente efficace come misura di prevenzione. Il bambino piccolo si trova, infatti, in una situazione assolutamente particolare: non sa soffiarsi il naso e ogni minima quantità di muco tende a permanere nelle prime vie aeree. Inoltre, molto più frequentemente dell’adulto, i bambini sono aggrediti da germi che, in presenza di secrezioni, trovano un terreno ideale per moltiplicarsi e per diffondersi alle zone vicine, seni paranasali compresi.
Per concludere, il neonato è ad alto rischio di sviluppo di rino-sinusite: questo spiega perché da qualche tempo i pediatri invitano i genitori dei piccoli che soffrono di un banale raffreddore comune di pulire frequentemente il naso ai loro figli, utilizzando lavaggi locali soprattutto nei più piccoli che non possono ricorrere alla semplice soffiata di naso.
Lina Rossi