

In Europa e soprattutto in Italia si consumano ancora troppi antibiotici, spesso senza una reale necessità. Gli antibiotici sono farmaci eccezionali, nel tempo hanno salvato molte vite. Come ogni ritrovato, hanno però un limite legato all’attività stessa dei batteri: questi microrganismi sviluppano strategie finalizzate non solo al riconoscimento dei farmaci, ma anche a come aggirare il loro sistema di attacco: l’antibiotico-resistenza. È questo un fenomeno molto serio che rende inefficaci gli antibiotici. La conseguenza primaria è lo sviluppo di infezioni ospedaliere difficili da risolvere.
L’allarme sull’antibiotico-resistenza è stato lanciato dal rapporto – Consumo di antimicrobici e resistenza nei batteri dell’uomo e degli animali – dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare EFSA – dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie – ECDC – e dall’Agenzia Europea per i Medicinali – EMA. In Europa l’uso degli antibiotici in allevamento è per la prima volta inferiore al consumo umano. Lo studio, ha esaminato dati tra il 2016 e il 2018, è il terzo sul tema condotto dalle agenzie Ue con l’approccio – One Health – che collega la salute degli animali, dell’uomo e degli ecosistemi. L‘uso di antibiotici è diminuito e, per la prima volta, è inferiore negli animali da produzione alimentare che nell’uomo. Si tratta di una notizia incoraggiante che porta gli esperti a ritenere che le misure in atto siano efficaci e la strada imboccata sia corretta. Secondo il quadro che emerge dallo studio la situazione in Europa varia in modo significativo in base al Paese e alla classe di antibiotici. Per esempio, le amino-penicilline, le cefalosporine di terza e quarta generazione e i chinoloni sono utilizzati più negli esseri umani che negli allevamenti, mentre le polimixine o colistina e le tetracicline sono utilizzate più negli animali da produzione alimentare che nell’uomo. La situazione migliora anche in Italia, si legge nello studio, con una chiara tendenza alla diminuzione dei consumi tra il 2014 e il 2018. Ma il fenomeno della resistenza resta stabile e a livelli elevati.
Secondo l’ultimo report del World Health Organization, nel nostro paese una infezione su quattro non risponde più ai carbapenemi, gli antibiotici considerati più efficaci. Per contrastare la resistenza agli antibiotici, si deve anzitutto ripartire da un corretto uso. Andrebbero promosse vere e proprie campagne di sensibilizzazione, sia sulla gente comune sia sui medici, per migliorare l’appropriatezza prescrittiva e quindi usare antibiotici solo quando è veramente necessario. Inoltre, si può agire prima che i batteri provochino infezioni, agendo sulle cause, ricorrendo più spesso ai vaccini e prevenendo sovra infezioni che poi devono essere trattate con gli antibiotici. Basti pensare alle complicanze causate dall’influenza, che troppo spesso evolvono in bronchiti od otiti da trattare inevitabilmente con gli antibiotici.
Troppo spesso le infezioni virali vengono scorrettamente trattate con antibiotici. Ridurre la loro insorgenza attraverso le vaccinazioni significa ridurre anche questo utilizzo ingiustificato eppure molto diffuso di antibiotici. Sono inoltre disponibili vaccini diretti contro i batteri. Un esempio è la vaccinazione anti-pneumococcica, che evita di contrarre polmoniti e altre infezioni da curare poi con antibiotici. Anche la vaccinazione contro il rotavirus sembra essere in grado di ridurre il diffuso ricorso a cure antibiotiche in caso di diarrea nei bambini. Infine, un sistema alla portata di tutti con il quale abbiamo preso confidenza nell’anno del Covid-19 è il lavaggio delle mani, la pratica riduce il trasporto di batteri da una persona all’altra, e dunque la possibilità di infezioni. In determinati contesti, come quelli ospedalieri, può abbattere le infezioni anche del 50%.
Giorgia Andretti
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