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Finalmente in sala parto

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Ore di attesa attaccate al monitoraggio, ginecologi che vanno e vengono, padri che svengono sul più bello

Eccovi in ospedale. V’infilano velocemente una stupenda camicia da notte verde o bianca, una roba che non ha mai conosciuto né ammorbidente, né ferro da stiro, stile camicia di forza. Dopo un paio di minuti, anche se siete appena uscite dal parrucchiere, dove magari vi si sono rotte le acque, i capelli vi staranno come un cesto d’insalata dimenticato in frigo da mesi.

Sarete legate come un salame al monitoraggio, utilissimo non solo per controllare lo stato di salute del nascituro, ma per prepararsi all’urlo di Tarzan che ritmicamente vi uscirà dalla gola. Dopo i primi timidi tentativi di respirare come si deve, ansimerete a cagnolino, sotto lo sguardo un po’ schifato dell’ostetrica. Trattandosi di primo figlio nelle prime cinque o sei ore non vi filerà nessuno. Il ginecologo passerà quando può, infilerà la testa in quello che un tempo era un rigoglioso cespuglio, garbatamente rapato a zero col rasoio a freddo, e ne uscirà annunciandovi i centimetri “Aperta di tre centimetri”. Finché non arrivate almeno a otto potete starvene là a imprecare e urlare, almeno vi sfogate un po’.

Secondo una nuova tradizione ispirata a De Sade, molte possono trascorrere il travaglio in compagnia del futuro padre. O almeno di ciò che resta di lui. Il compito dell’uomo nel parto (a meno che non sia medico o paramedico) consiste nello stringere la mano sudata a ogni contrazione, cercando di non svenire subito. Qualche coraggioso approfitta della scusa di andare a prendervi uno straccio per bagnarvi le labbra, per vomitare di nascosto. Alcuni svengono subito e vengono lasciati così su una sedia fino a parto avvenuto (le ostetriche odiano i padri che svengono). Altri reggono fino alla fine, conquistandosi il plauso della neononna (paterna) che si farà vanto con le amiche di un figlio così eroico e coraggioso.

Ci sia o non ci sia il padre presente, nessun pupo è destinato a restare dentro e finalmente verrete scollegate dal monitoraggio e sbattute sulla cavalchina per la spinta. Umiliate dal clistere, le mani invase di ‘farfalline’ con l’ossitocina, solitamente dopo il cambio di turno, finalmente anche il pupo trova modo di uscire da quel buco nero in cui era infilato. Scivola fuori che è una bellezza e, se il padre non sceglie proprio quel momento per svenire, il personale medico (quasi mai il ginecologo che avete profumatamente pagato per otto mesi, assicurazione in caso di cesareo) riesce a raccattarlo al volo e distinguerne le fattezze tra sangue e placenta.
E’ arrivato finalmente il suo momento per urlare!

 

Lilith

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