È accertato: i traumi nell’infanzia lasciano un’impronta nel cervello

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È accertato: i traumi nell’infanzia lasciano un’impronta nel cervello

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Alex ha dieci anni. All’età di tre è stato sottratto alla famiglia, per colpa di una situazione di disagio. La mamma aveva altri bambini, concepiti con uomini diversi. Nessun padre fisso che si occupasse della numerosa famiglia. Troppi compagni occasionali, di passaggio lasciando un segno negativo su quei bambini non propri, verso i quali provavano più fastidio che affetto. La mamma viene giudicata non idonea a gestire i bambini e Alex, con una sorella e due fratelli, viene affidato a un istituto. Lì resta per sette lunghi anni. Sette anni in cui si fanno tentativi per affidarlo ad altre famiglie. Sette anni di fallimenti: il bambino è difficile, scontroso, non sa relazionarsi né con adulti né con i coetanei, non ha rispetto di niente e di nessuno. Finalmente viene preso in affido da una psicologa: lui la chiama mamma e con lei vive la prima esperienza di una famiglia normale. Ma le difficoltà rimangono, il ragazzino a scuola picchia i compagni, dice parolacce agli insegnanti. Non resiste in una squadra di calcio o di basket per le proteste di compagni e genitori.

Trami che si imprimono a fuoco
Alex non ha problemi di ADHD, di iperattività e non ha ritardi cognitivi. È stato sottoposto a specifici test che non hanno rivelato alterazioni di questo tipo. Il suo problema è un altro: sono le cicatrici indelebili impresse a fuoco nelle sue cellule nervose, derivanti dagli anni di solitudine, di mancanza di affetto, di instabilità e di punti di riferimento certi. Nel suo caso, come in quello di tanti altri bambini, le brutte esperienze hanno segnato per sempre il modo di rapportarsi con il mondo esterno. La notizia ci relaziona sulla esistenza di difficoltà non più solo psichiche e quindi superabili con il tempo, l’affetto e le motivazioni positive. I traumi subiti durante i primi anni di vita si imprimono per sempre nelle cellule neuronali di un bambino, proprio come cicatrici che non se ne vanno più. In altre parole, la ferita dell’animo si rimargina, ma lascia un segno indelebile. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori svizzeri del Politecnico federale di Losanna, in uno studio pubblicato su Translational Psychiatry. Le pressioni dovute alle esperienze negative, di qualsiasi origine siano, sviluppano a livello biologico delle alterazioni che permangono in età adulta, causando la predisposizione a sviluppare atteggiamenti aggressivi. Un bambino traumatizzato o abusato tenderà insomma con il tempo a risolvere le questioni più con il litigio che con la diplomazia e a venire più facilmente a scontri, non solo verbali, con i propri coetanei ma anche con le altre persone.

Una conferma a quello che si pensava da tempo
L’equipe di studiosi, capeggiati dalla dottoressa Carmen Sandi, si sono basati sulla certezza di dati scientifici, secondo i quali i soggetti più violenti hanno subito spesso traumi psicologici durante l’infanzia. I ricercatori, però, non si sono fermati qui: sono riusciti ad evidenziare in alcune persone violente alterazioni della corteccia orbito-frontale, ossia di una zona del cervello posta nella parte anteriore dell’encefalo, che corrisponde più o meno alla fronte. Sono anche riusciti a stabilire il legame tra l’impronta evidenziata nel cervello e le esperienze negative. Da alcune osservazioni compiute sui ratti, infatti, è stato notato che i soggetti sottoposti a traumi nella fase iniziale della vita hanno sviluppato atteggiamenti aggressivi anche nelle età successive, assieme alla tendenza a reagire in modo abnorme agli stimoli negativi. Negli animali analizzati, i comportamenti violenti erano accompagnati nella maggior parte dei casi da alterazioni fisiche del cervello identiche a quelle osservate negli uomini. C’è, insomma, la conferma neurologica che le brutte esperienze dell’infanzia si trasformano in una alterazione biologica rilevabile nel cervello dell’adulto. La ricerca è una sicurezza in più, una dimostrazione per cui l’infanzia deve essere rispettata: in caso contrario, le ferite si trascinano dietro per tutta la vita. Come sta succedendo ad Alex, affamato di amore, incapace di rapporti “normali”.

Giorgia Andretti

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