La sindrome da iperattività ADHD non è conosciuta dagli altri genitori

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La sindrome da iperattività ADHD non è conosciuta dagli altri genitori

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“Mio figlio è finito sul giornale. Per un litigio in classe ha ferito la mano di un compagno con le forbici. Nulla di grave: è bastato un cerotto. Ma a me, nemmeno una telefonata dalle maestre, solo una segnalazione striminzita e vaga. Ma la voce si è sparsa e la notizia è stata pubblicata su un quotidiano locale. Così sono venuta a saperlo: io, la diretta interessata. Gli altri lo sapevano tutti. Mi chiedo se sarebbe stato dato così risalto alla notizia se il protagonista fosse stato un altro bambino. Un bambino non ADHD”. È lo sfogo di Daniela, una mamma che vive in Lombardia. Uno sfogo pacato, ma non rassegnato, come quello di una mamma che affronta le difficoltà di ogni giorno a fianco del proprio bambino. Daniela ha un figlio che frequenta la terza elementare, al quale è stata diagnosticata, appunto, la ADHD: l’acronimo per Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ovvero Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività. Si tratta di uno dei disturbi neuro – psichiatrici più comuni nei bambini, di cui soffrono solo in Italia dai 270.000 ai 360.000 piccoli, con un’incidenza pari al 3-4 per cento. L’ADHD è un disturbo complesso e problematico, purtroppo ancora poco noto e riconosciuto nel nostro Paese.

ADHD, un vero e proprio disturbo
L’ADHD è un disturbo di tipo neurologico, le cui cause, però, non sono facilmente individuabili. È caratterizzato da un marcato livello di disattenzione e da una serie di comportamenti che denotano iperattività e impulsività, più seri e frequenti di quanto tipicamente venga osservato in individui ad un livello paragonabile di sviluppo. I piccoli con ADHD non riescono a controllare le loro risposte all’ambiente, sono disattenti, iperattivi e impulsivi, fino a compromettere la loro vita di relazione e scolastica. Le ripercussioni di queste situazioni sono sul bambino, ovviamente, ma anche sulla famiglia, che ogni giorno si trova a vivere un percorso di sofferenza e di isolamento. I bambini ADHD ricevono maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola o di gioco e, di conseguenza, possono reagire in modo più aggressivo dei loro coetanei e non riescono a rispettare le regole di comportamento. L’isolamento sociale e le discriminazioni che ne derivano favoriscono lo sviluppo di tratti caratteriali oppositori e provocatori nel bambino, mentre le famiglie si rinchiudono sempre di più in un isolamento sociale.

Le difficoltà nella scuola
Un ambito difficile per i bambini ADHD è la scuola. Questi bambini, infatti, si alzano continuamente dal loro posto, non riescono a svolgere i compiti e finiscono spesso con il cambiare banco, classe e talvolta anche scuola. Il profitto scolastico, proprio per
l’incapacità di concentrazione, è scarso e, per la loro impulsività, è difficile anche il loro
rapporto con gli altri. E’ importante quindi che, anche all’interno della scuola, un bambino
ADHD sia aiutato correttamente con il supporto e la collaborazione di psicopedagogisti,
insegnanti e genitori. Nella scuola, il Teacher Training è la metodologia che permetterebbe al gruppo di insegnanti di affrontare le situazioni legate ai ridotti tempi di attenzione, all’agitazione motoria e alla bassa tolleranza di questi alunni. Purtroppo in Italia è poco conosciuta e raramente praticata. Non conoscere gli strumenti adeguati per saper gestire, nella quotidianità, un bambino ADHD mette in seria difficoltà il docente, che deve rispettare il programma didattico e porta inevitabilmente all’emarginazione del bambino. “Purtroppo è vero” concorda Daniela. “Le insegnanti, con tutta la buona volontà, non sono adeguatamente preparate a gestire un bambino con ADHD. Le maestre mi relazionano sulla condotta quotidiana di mio figlio, segnalandomi le parolacce e i pizzicotti. Come se parolacce e pizzicotti fossero comportamenti riprovevoli solo per il mio bambino”.

Un disturbo sottovalutato
Anche tra i genitori degli altri bambini c’è una certa resistenza a fornire comprensione. “Un bimbo ADHD viene classificato come maleducato, eccessivamente vivace, privo di regole” aggiunge ancora la nostra mamma. “Noi, i loro genitori, siamo considerati troppo tolleranti, incapaci di educare o, al contrario, eccessivamente rigidi. Sono in pochi a sapere che è un vero e proprio disturbo neurobiologico”. L’ADHD è infatti causato da disfunzioni che colpiscono i circuiti di aree specifiche del cervello dei bambini. La diagnosi, lenta e complessa, si basa prevalentemente sull’osservazione clinica del bambino, sull’integrazione di informazioni raccolte nei vari contesti di vita e sull’esecuzione di esami. Il primo intervento consiste nel comunicare e spiegare alla famiglia cosa significa avere l’ADHD. E’ necessario comunicare anche con gli insegnanti per aiutarli a comprendere le difficoltà e i punti di forza, che spesso non sono pochi, del bambino ADHD. Inoltre occorre una combinazione di interventi medici, educativi, comportamentali e psicologici sul bambino e sui genitori, la cosiddetta Parent Training, a cui può essere associata, nelle forme più importanti e se ritenuto necessario, una terapia farmacologica. È necessario intervenire perché il quadro clinico può modificarsi
rispetto a quanto riscontrato in età giovanile, ma l’iperattività, l’inattenzione e l’impulsività spesso permangono, soprattutto se non diagnosticati e trattati in età giovanile.

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Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta, laureata in psicologia medica

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