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Donne in carriera in Italia?

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Negli Stati Uniti un dirigente su due appartiene al “gentil sesso”, in Italia il rapporto è di uno a sei

Stati Uniti battono Italia 48 a 17! Non è il risultato di una partita di basket, bensì queste due cifre rappresentano la percentuale di donne dirigenti nei due Paesi. Il confronto è per certi versi mortificante.
Una recente indagine condotta dall’Ispo (Istituto per la Pubblica Opinione) su un campione di dirigenti di società italiane e di aziende americane che operano in Italia, ha cercato di capire quali siano le principali motivazioni di una differenza così marcata.
In Italia innanzi tutto vige una legislazione che tutela molto il lavoro delle donne, soprattutto in tema di maternità: questo eccesso di tutela costringe spesso le donne a stare lontane dal posto di lavoro per troppo tempo. Negli USA le donne sono meno tutelate, ma anche meno penalizzate, in quanto sotto questo aspetto esiste una reale parità fra i due sessi, il che comporta anche una maggiore trasparenza nei rapporti interni alle aziende.
In Italia poi è ancora molto scarsa a livello aziendale la cultura del Diversity Management, ossia l’ottimizzazione del lavoro in team tramite lo sfruttamento e la successiva valorizzazione e promozione “sul campo” delle diverse soluzioni, dei differenti modi di essere e ragionare che uomini e donne possono apportare, oltrepassando un rigido e formale rispetto di rapporti e funzioni.
Esistono inoltre per la donna italiana anche elementi culturali frenanti: una sorta di autolimitazione basata su un più alto valore assegnato alla qualità della vita (maggiori interessi extra lavorativi, più importanza ai rapporti interpersonali e con i familiari, ecc..).
Tale autolimitazione interiore può diventare, specie nei momenti topici, un fattore demotivante che fa pendere la bilancia della scelta verso un impegno lavorativo di minore responsabilità. Tutto ciò è acuito ed alimentato dal fatto che in Italia è raro trovare mariti disposti ad accettare ed a supportare, anche a livello di collaborazione nella vita famigliare, una professione più impegnativa da parte della propria compagna (il cosiddetto “marito facilitante”).
Come se non bastasse fra le donne italiane non esistono reti di solidarietà (quello che gli americani chiamano lobby), utili a promuovere sia all’interno di luoghi di lavoro ma anche presso le sedi opportune la condizione professionale femminile. Si tratta dunque di un universo frammentato, diviso, privo di confronto diretto e di autoconsapevolezza in cui solamente alcune “pioniere” realizzano sporadicamente degli exploit isolati non in grado di mettere in moto un meccanismo virtuoso.
Eppure, sempre valutando i dati risultanti dalla ricerca dell’Ispo, le donne lavoratrici italiane potenzialmente posseggono molte caratteristiche idonee a garantirne il successo professionale: la curiosità, la capacità di cambiare, l’accettazione delle sfide, le capacità di divertirsi nel lavoro, di decidere, un forte orientamento ai risultati, la determinazione e l’umiltà nell’apprendere, e non ultime, forse mutuate dall’ambiente familiare, innate doti di leadership.
E allora un incoraggiamento alle nostre donne ad uscire allo scoperto perché, come ci dimostrano le pragmatiche statunitensi, la cultura si cambia solamente facendo e di innovazione oggi si sente un gran bisogno.

In Rete:
Sito dell’Osservatorio sull’imprenditoria femminile
Sito dell’Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda

 

Luciano Chicarella

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