Alcuni mesi fa, in Francia si è molto discusso sul ritorno al grembiule come superamento di una fase in cui le bambine sono sempre più “sessualizzate”: già a sei – sette anni, le piccole vanno a scuola indossando abbigliamenti decisamente non consoni ad un luogo dove la cultura deve essere l’obiettivo fondamentale. Stranamente le classi delle bimbe somigliano sempre più a cataloghi di moda viventi. La divisa dovrebbe riportare non un po’ di ordine ma un ritorno a vivere quel momento e quello spazio dedicato allo studio.
Passato e presente
L’obbligo di indossare un abbigliamento uniforme a scuola si consacra durante il regime fascista: grembiule bianco per le scuole elementari e nero per le medie inferiori, per poi subire un lento declino a partire dal ’68, con la rivoluzione sessuale e il profondo mutamento dei metodi pedagogici. Nel 2008, con l’osteggiata e mai attuata proposta dell’allora ministro della pubblica istruzione Gelmini di reintrodurre il grembiule obbligatorio, almeno nella scuola pubblica primaria, è di nuovo dibattito. E’ di questi giorni la notizia relativa a una scuola media statale in provincia di Massa Carrara, la cui preside, sostenitrice delle divise scolastiche, ne richiede l’uso ai suoi alunni dal settembre prossimo, con il dissenso di diverse famiglie.
Attualmente in Italia vige la piena autonomia scolastica. In mancanza di alcuna disposizione di legge a riguardo, la decisione spetta al singolo istituto e al suo regolamento. Il grembiule rosa, bianco e blu è tuttavia generalmente ancora utilizzato in molte scuole materne e consigliato nelle elementari soprattutto per questioni d’igiene. Nella secondaria di primo grado vi è piena libertà di abbigliarsi per partecipare alle attività scolastiche.
Come ci si veste nelle altre nazioni
Il panorama estero appare variegato e l’uso di uniformi a scuola è più o meno abituale in base alle proprie tradizioni culturali ed educative. In Francia, l’utilizzo delle uniformi scolastiche non è molto diffuso, né generalmente richiesto dalla scuola pubblica o dai collegi privati. Anche in Spagna non se ne prevede l’obbligatorietà nella scuola pubblica: è il consiglio d’istituto, in collaborazione con i genitori, dei ragazzi che ne determina l’eventuale uso. E’ consuetudine, invece, per le scuole private o religiose. In Inghilterra, la richiesta è più ampia. In quei casi le divise, oltre che di costo contenuto, devono essere rispettose dei sessi e delle tradizioni religiose: si è liberi, per esempio, di indossare turbante e velo. Alle elementari è generalmente in uso una polo o camicia e felpa, nei licei una maglia con i colori della scuola o in alternativa una camicia bianca, con cravatta e pantaloni per i maschi, o con gonna di colore scuro per le femmine. Negli USA molti grandi distretti ne impongono l’adozione a tutte le scuole, mentre in altri la decisione è lasciata alle singole istituzioni scolastiche.
Il valore educativo e sociale
Quale significato dare alla parola uniforme-divisa scolastica? Ormai da circa vent’anni è l’interrogativo che fonda il dibattito tra favorevoli e contrari. Funzione identificativa e senso di appartenenza a un gruppo, maggiore ordine e disciplina, miglior rendimento scolastico, netta diminuzione dell’assenteismo, delle disuguaglianze e delle conseguenti discriminazioni da un lato, oppure appiattimento dell’io, repressione dell’espressività e della fantasia personali, militarizzazione e standardizzazione del gruppo dall’altro? Uno studio americano, della seconda metà degli anni novanta sostiene gli effetti positivi conseguenti all’uso delle divise sui ragazzi sia a livello comportamentale sia disciplinare. La società del consumo, con l’esagerata importanza attribuita alle cose materiali, apparire più che essere, inevitabilmente favorisce l’insorgere di comportamenti discriminatori, soprattutto nel mondo giovanile. Il bullismo scolastico, attuale piaga sociale, è un grave e pericoloso fenomeno, che potrebbe, in molti casi, essere arginato dall’uso di un abbigliamento che uniformi il gruppo e lo identifichi, anche a detta di molti psicologi. Indossare una divisa, infatti, potrebbe migliorare la vita tra i banchi infondendo più sicurezza nel singolo, rendendolo parte di uno stesso gruppo e contribuendo notevolmente alla diffusione di un clima di maggiore coesione e solidarietà. Il ritorno della divisa scolastica, non come nostalgica rievocazione del passato dunque, livellerebbe le evidenti differenze socio-economiche e stimolerebbe gli studenti alla maggiore concentrazione sulle proprie capacità intellettive e personali, in un ambiente neutro di sana competizione, con il conseguente miglioramento relazionale, dell’apprendimento e della crescita personale. La scuola luogo per eccellenza di divulgazione della cultura e dell’educazione, non dovrebbe essere una indecorosa passerella di prêt-à-porter. Agevolato ne risulterebbe inoltre, l’impegno mattutino dei genitori nella scelta del vestiario dei propri figli. Fondamentale, come sempre, è il ruolo della famiglia, che in costante collaborazione con gli insegnanti, è chiamata ad accogliere e trasmettere il rispetto delle regole e degli altri, e la valorizzazione dell’intelligenza come miglior strumento di relazione.
Fabiana Angelucci