La malattia di Kawasaki è una vasculite, cioè una malattia dei vasi sanguigni. Fu descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone dallo scienziato Tomisaku Kawasaki, da cui prende il nome. Ancora oggi non se ne conosce la causa, anche se sono stati ipotizzati fattori virali o genetici. La malattia colpisce entrambi i sessi (con una lieve prevalenza per quello maschile) a partire dai primi mesi di vita fino ai 5 – 6 anni con un picco di incidenza intorno all’anno di vita e più di rado dopo i 6 anni. Secondo alcuni studi l’incidenza in Italia sarebbe di 14 casi ogni 100 mila bambini, contro gli 8/10 casi degli Stati Uniti e i 4 casi dell’Inghilterra.
I sintomi
Poiché si presenta con febbre elevata ed esantema, la malattia di Kawasaki viene a volte inizialmente confusa con il morbillo, con la scarlattina, con la mononucleosi od altre malattie infettive dell’infanzia. In realtà si tratta di una vasculite che interessa la pelle, le mucose e le arterie coronarie. La malattia spesso comincia con la febbre alta e persistente, che non regredisce con la normale terapia con farmaci antifebbrilii. La febbre può rimanere elevata anche per due settimane.
Nella maggior parte dei casi si osserva una congestione delle mucose congiuntivali con occhi fortemente arrossati, e della mucosa dell’interno della bocca, con gola arrossata, lingua iperemica con le papille rilevate tipo lingua “a lampone” della scarlattina. Le labbra sono fortemente arrossate con presenza di fessure doloranti. In genere dopo 4 o 5 giorni dall’inizio della febbre è presente un esantema maculo-papuloso che scompare dopo una settimana. Questo esantema si manifesta inizialmente sul tronco per poi estendersi al viso e agli arti. Sempre in questo periodo compare un arrossamento delle palme delle mani e della pianta dei piedi che si accompagna ad un edema duro “a guanto” ed “a calzino”, della durata di circa 10 giorni, seguito da una desquamazione della cute delle dita. Può essere presente anche un ingrossamento dei linfonodi latero-cervicali o angolomandibolari. Il decorso della malattia, che una malattia autolimitante e tende alla guarigione spontanea nella maggior parte dei casi, può variare da 2 a 12 settimane.
La diagnosi e la terapia
La diagnosi della malattia di Kawasaki è solo clinica: non esistono, infatti, esami di laboratorio specifici, eccettuato un tardivo aumento del numero delle piastrine. Una complicanza temibile della malattia, che si presenta in forma grave nel 5-10% dei casi, è l’interessamento del cuore. La malattia di Kawasaki può infatti provocare una infiammazione delle coronarie, cioè delle arterie che portano il sangue al cuore. Il piccolo paziente corre allora il rischio di un infarto, perché l’arteria si ostruisce e il sangue non arriva, o di un aneurisma, cioè di una dilatazione dell’arteria, che può arrivare a rompersi. I bambini affetti dalla sindrome di Kawasaki devono quindi essere affidati al controllo di un centro cardiologico specializzato, che deciderà la terapia da seguire. In linea generale si tratta di una terapia che ha come unico obiettivo quello di controllare l’infiammazione per prevenire conseguenze cardiologiche e ridurre il rischio della formazione di trombi (coaguli) nelle arterie dilatate. Non essendo stata ancora scoperta la causa non esiste dunque una terapia specifica. Generalmente si ricorre a salicilati e ai cortisonici per ridurre l’infiammazione e agli anticoaugunati (tipo l’Aspirina) per i rischi alle arterie coronarie. Il linea generale, le dilatazioni arteriose si risolvono entro due anni in due casi su tre. Negli altri casi rimane qualche difetto (dilatazione o restringimento) che va poi tenuto sotto controllo.
Prof. Luigi Tarani