Bimbi instancabili, gridano, si muovono in continuazione, non riescono proprio a stare fermi. Una volta venivano semplicemente definiti vivaci o, senza mezzi termini, monelli maleducati. E quindi, anche in mancanza di competenze specifiche, si rischiava di sottovalutare un vero e proprio disturbo del comportamento che, se ben curato, migliora il benessere del bambino e della famiglia. Oggi succede il contrario: un bambino vispo e vivace viene fin troppo facilmente bollato come iperattivo, con il rischio di considerare malattia quello che è, invece, un tratto del carattere. Da un estremo all’altro, insomma: in entrambi i casi c’è il rischio di trattare in modo non adeguato un problema e il primo a soffrirne è il bambino.
Un conto, quindi, è la vivacità caratteriale, altro è l’iperattività, una vera e propria condizione neurologica conosciuta con la sigla anglosassone di ADHD, ovvero: la Sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Si tratta di un disturbo del comportamento che riguarda il 4% della popolazione pediatrica tra i sei e i dodici anni. Ne sono più colpiti i maschi e le cause sono di origine genetica complicata dal contesto educazionale. I piccoli che ne soffrono non riescono a controllare impulsività ed attenzione, sfuggono al controllo degli adulti, associando all’agitazione forme di irrequietezza e di reazione abnormi. In classe non riescono a stare seduti, danno fastidio ai compagni, non svolgono i compiti assegnati, cambiano frequentemente banco, classe e talvolta anche scuola. Il loro profitto scolastico, proprio per l’incapacità alla concentrazione, è quasi sempre scarso così come difficile è il loro rapporto con gli altri. La pratica di uno sport come il judo o karate può essere un aiuto per scaricare le tensioni interne oltre ad apprendere la disciplina.
Eppure tutto questo non basta ancora per stilare una diagnosi di ADHD. I bambini affetti da iperattività vera mostrano altri segnali che vanno oltre l’irrequietezza. Mostrano incapacità a cogliere i dettagli, tendenza a compiere errori nelle attività, difficoltà a seguire regole e istruzioni, non riescono ad organizzare qualsiasi compito venga loro assegnato. Hanno la tendenza a perdere oggetti e a dimenticare le attività quotidiane, faticano ad attendere il proprio turno in ogni circostanza, dal gioco al dialogo, tendono a parlare eccessivamente o ad intromettersi e ad interrompere le conversazioni. Un bambino irrequieto non è comunque un bambino affetto da ADHD e, in ogni caso, la diagnosi di una problematica neurologica tanto importante non può essere risolta dalle osservazioni di un genitore, di un insegnante o di un pediatra di famiglia.
È compito esclusivamente dello specialista psichiatra o neuropsichiatra infantile verificare con esami mirati la presenza o meno del disturbo e stabilire, eventualmente, una terapia adeguata. Il supporto iniziale, che prevede il coinvolgimento dei genitori, è di tipo psicoterapico. In particolare la Terapia cognitivo comportamentale, oltre ad analizzare il problema e la situazione familiare nel suo insieme, fornisce a genitori ed insegnanti istruzioni semplici ma utili ad aiutare il bambino nel suo sviluppo. Giorno dopo giorno vengono forniti consigli semplici da mettere in campo: modificare l’ambiente al fine di ridurre il più possibile le possibilità di distrazione, fornire istruzioni chiare e precise e pretenderne il rispetto, incoraggiare il bambino ad organizzare la propria giornata quotidiana, i pasti, i compiti, l’igiene personale, con tempi e regole precise. È importante accompagnare con gratificazioni per i comportamenti corretti, le indicazioni rispettate, i successi ottenuti. Solo il fallimento di una psicoterapia che coinvolga anche la famiglia può aprire la strada ad una soluzione farmacologia. Anche in questo caso è sempre necessario l’intervento dello specialista.
Dottoressa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta, specializzata in psicologia clinica