Di certo non è naturale togliere la vita ai propri figli. Sfortunatamente, troppo spesso ci capita di doverne parlare e commentare: non per vezzo pettegolo, ma per comprendere cosa può capitare nella mente di una persona adulta e consapevole per arrivare a commettere un omicidio al solo pensiero raccapricciante è dir poco.
La rottura di un legame
All’inizio, quando nasce una coppia, le parole con cui si presta giuramento come da rituale sono: per sempre insieme nella buona o cattiva sorte finché morte non ci separi. Non è un eufemismo ma sono molti a pensarla davvero in questo modo e deve averla pensata così anche Pasquale, il papà di Ono San Pietro – Brescia, quando ha deciso di togliersi la vita in un rogo mortale insieme ai suoi due bambini: Davide ed Andrea. Da quattro anni la coppia viveva separata ed i bambini erano stati affidati alla madre. Sembrerebbe però che i servizi sociali, intervenuti perché i ragazzi a scuola avevano dei problemi di rendimento, avessero avviato la procedura per revocare al padre, un imbianchino, la patria potestà. Deve essere stato questo procedimento o il decreto di citazione per stalking del quale si era reso colpevole, avviato dalla ex-compagna, ricevuto la mattina del 15 luglio a far scattare nella mente dell’uomo il folle gesto. Le due istruttorie devono aver rappresentato una leva profondamente innaturale ma tale da indurre l’uomo prima ad avvelenare i piccoli e poi a procurarsi la benzina per dare fuoco alla camera da letto dove i bambini sono passati dal sonno al trapasso finale.
La paura dell’abbandono
Nell’immaginario collettivo l’uomo è raffigurato come la persona forte, capace di reagire a tutto e sempre con la determinazione necessaria. Ma è proprio così per tutti? Nel rapporto di coppia ad esempio, se è l’uomo a fare delle scelte diverse queste devono essere accettate ma se è la donna ad abbandonare? Cosa può accadere a quell’uomo che si ritrova di colpo abbandonato dopo aver costruito nella sua mente una vita a due basata sul legame indistruttibile? E, se poi ci sono i figli, legame eterno che mai nessuno può dissolvere, in che modo la mente umana può farci i conti? Certo molto dipende da come quell’uomo ha vissuto la sua infanzia, come ha sperimentato l’attaccamento ed il conseguente abbandono e soprattutto in che modo ha vissuto l’aggressività nel corso di tutta la sua vita. Non c’è ombra di dubbio che l’abbandono generi rabbia ed aggressività la reazione, fisica o meno, conseguente alla rottura dipende dal vissuto di quella particolare persona. Se fin dall’infanzia si è fatto i conti con i soprusi e con l’aggressività probabilmente vissuta, il solo comportamento che quella persona saprà mettere in atto non potrà che essere l’aggressività verso colui che viene ritenuto il colpevole della sua sofferenza. Non sempre però la punizione viene vista come un’aggressione fisica verso la persona, alcune volte è privarla del suo bene più grande, dei suoi affetti vitali, in quel momento la fantasia sofferente perde il legame con la realtà e la via d’uscita più breve ed indolore è quella di uscire e far uscire tutti dalla vita in modo indelebile.
La mediazione famigliare
Una soluzione per prevenire i drammi famigliari in sede di separazione è la mediazione famigliare. La Legge 54 del 2006 esprime un principio assolutamente irrinunciabile: l’affido condiviso, ovvero nelle separazioni non più figli affidati ad uno dei due genitori ma condiviso appunto. Questo tipo di affido prevede la bi-genitorialità: i figli da un lato e i genitori dall’altro. In questi anni però la 54 si è scontrata con notevoli difficoltà applicative probabilmente a causa di alcuni aspetti lacunosi ma soprattutto ha creato ulteriori tensioni nella coppia. E’ proprio per superare la conflittualità generata sia dalla condivisione o meno della patria potestà sia dalle incomprensioni proprie della coppia che era stato presentato un DDL, il 957, affinché nelle coppie ad alta conflittualità in sede di separazione venga resa obbligatoria la mediazione familiare. Il ruolo del mediatore famigliare deve essere ricoperto da persone specializzate a gestire i rapporti intra-famigliari sia da un punto di vista dinamico, relazionale, medico e giuridico, possibilmente un team pronto a lavorare sinergicamente. La mediazione così intesa porterebbe davvero allo scoperto le dinamiche conflittuali pronte ad essere elaborate nell’immediatezza, evitando in questo modo tutte quelle ritorsioni che inevitabilmente ricadono sui minori e sul loro sviluppo psichico. Quello che non vorremmo mai più leggere sono i nomi di altri bambini come è capitato ai fratellini di Ono San Pietro, alle gemelline svizzere, ai tre fratellini sepolti a Cerveteri ed ai fratellini di Molinella.
Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta, laureata in psicologia clinica