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Ecco i voti assegnati ai padri da mille ragazzi, fra i 14 ed i 24 anni, intervistati dall’Università di Modena

Papà italiani alla resa dei “conti”. In un virtuale gioco di scambio dei ruoli, mille giovani, tra i 14 e i 24 anni, sono saliti in cattedra e hanno dato i voti alla condotta paterna evidenziando, tutto sommato, un rendimento mediamente più che sufficiente e, in alcuni casi, anche eccellente, ma mai degno di lode. Rispondendo a nove quesiti di una indagine messa a punto dal Centro di ricerche e indagini sociali ed economiche (Crise) dell’Università di Modena e Reggio Emilia, l’ 81% dei ragazzi ha dato al proprio padre un voto complessivamente positivo e solo un 15% ha deciso per una bocciatura senza appello.

I ragazzi hanno generalmente voluto sottolineare, con l’attribuzione di una votazione anche superiore all’8, la grande abnegazione paterna in tema di onestà e professionalità. In sostanza, la prole ha dimostrato di apprezzare l’impegno che i loro “vecchi” pongono per garantire alla famiglia un reddito adeguato, per mantenere una condotta retta e conservare oltre che trasmettere modelli di comportamento civico. Lo stesso vale per l’altruismo manifestato: l’impegno sociale che i papà dimostrano, occupandosi, spesso, di volontariato, viene premiato con un voto medio di 7.

Il discorso cambia progressivamente quando si prendono in considerazione le virtù “private” dei papà italiani. “Il 23% dei ragazzi non giudica sufficiente il tempo a loro dedicato – ha spiegato graziano Pini, responsabile del Crise – tanto che il voto è di due punti sotto la media degli altri quesiti”. Se i papà superano, ma solo per il rotto della cuffia e con un 16,1% di scontenti, la prova relativa alla soddisfazione dei bisogni segnalati dai figli, la considerazione crolla miseramente se si introduce il capitolo “capacità di capire i problemi inespressi dei figli”. In questo caso non viene mai oltrepassata la sufficienza, ovvero un miserando 6, con 2 figli su 10 che mostrano il loro pollice verso e un altro che preferisce non emettere giudizi. E i figli maggiorenni, relativamente a questa domanda, si dimostrano ancora più severi: per loro si tratta di un’insufficienza conclamata. Padri quindi disponibili ma sostanzialmente passivi, pronti a metter mano al portafoglio ed esaudire ogni richiesta materiale ma meno propensi ad aprire il cuore per intuire, anche quando i figli tacciono, quali sono i loro desideri e le loro aspettative.

Figli-giudici che si dimostrano clementi per l’ambito pubblico, ma inflessibili per le virtù private. Così, il 21% degli intervistati ritiene inadeguata l’attenzione e la comprensione del genitore, dato che sale al 32% per i problemi, appunto, che i figli non riescono a segnalare e che i genitori dovrebbero arrivare a capire. La disparità di giudizio tra sfera “pubblica” e attitudini “private” dei papà italiani si fa più profonda se le stesse domande vengono sottoposte a ragazzi ospiti di un centro di recupero per tossicodipendenti. In questo caso avanza la stima per le abilità professionali dei padri ma crolla letteralmente la considerazione per la capacità di comprendere i problemi inespressi, “materia” in cui solo il 45% dei ragazzi attribuisce una scarsa sufficienza al proprio genitore.

Ma le abilità paterne si possono misurare anche geograficamente. In un’altra virtuale classifica, dedotta dalla stessa ricerca, risultano infatti al primo posto i papà di Firenze, che, avendo ricevuto i voti più alti raggiungono una media dell’8,58, seguiti dai padri di Milano (8,06) e da quelli di Modena (8,04) e di Bologna (7,58). Mentre in coda ci sono Pisa (7,1), Roma (7,42),
Napoli (7,43), Genova (7,45), Palermo (7,5) e Parma (7,51).

 

Giancarlo Strocchia

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