La malattia celiaca, tra forme conclamate e nascoste, riguarda sempre più persone

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Celiachia: una malattia subdola, difficile da scoprire. Lo sostengono gli esperti, secondo i quali i casi di malattia celiaca non diagnostica sono di gran lunga di più rispetto alla malattia riconosciuta: solo 22 casi su cento riceverebbero la giusta diagnosi. D’altra parte, ci sono anche tanti casi di persone che si auto-prescrivono la dieta senza glutine, senza sapere con esattezza se si ha la malattia o no. Secondo i dati diffusi dalla AIC – Associazione Italiana Celiachia, si stima che ci sia un malato ogni 100-150 persone. I casi già diagnosticati sono circa 75.000, ma secondo gli esperti i potenziali celiaci sono quasi 500.000, solo in Italia. Molte di queste persone, però, non immaginano di essere soggette al problema, dal momento che questo si presenta con sintomi molto diversi e più o meno lievi.

Una malattia ancora poco conosciuta
Si pensa spesso che la celiachia si manifesti soprattutto con gonfiore addominale e con forme di dissenteria: per questo, molte persone soggette a questi disturbi comuni anche a colite, malattia di Chron, altre forme di intolleranza, si autodiagnosticano la malattia e, convinte di avere la celiachia, iniziano la dieta senza glutine. Vivere senza pasta o pane di frumento non è impossibile e ci si può comunque alimentare in modo equilibrato, procurandosi i carboidrati da riso, polenta, patate e prodotti senza glutine. Al contrario, ci sono altre persone con disturbi che difficilmente si pensano collegati alla celiachia. Questa malattia si presenta, infatti, anche con irritabilità o depressione, difficoltà digestive, dolori alle giunture, crampi muscolari, perfino mal di testa e, nelle giovani donne, difficoltà mestruali. Il sintomo principale del problema però è il malassorbimento, cioè l’incapacità dell’intestino di assorbire in quantità sufficiente gli elementi nutritivi. I sintomi del malassorbimento sono perdita di peso, crampi addominali, presenza di gas addominale, debolezza generale, feci maleodoranti, grigiastre e come “oleose”.
Le celiachia mostra i suoi effetti più evidenti soprattutto nei bambini in età della crescita. In questo caso si parla di forma “tipica”. I primi problemi si presentano con lo svezzamento, quando il bambino entra in contatto con il glutine attraverso i cereali. L’organismo del bambino non assorbe più le sostanze necessarie per la crescita e quindi è soggetto a uno sviluppo fisico inferiore rispetto a quello dei coetanei per carenza di proteine, vitamine e sali minerali.

Ci si deve sottoporre agli esami specifici
In caso di dubbio, insomma, è sicuramente opportuno sottoporsi ai test per la diagnosi della celiachia. La diagnosi della malattia si effettua prima di tutto con un prelievo del sangue analizzato in laboratorio per scoprire la presenza di anticorpi che l’organismo produce solo in presenza di celiachia. Questi anticorpi sono i cosiddetti AGA (anticorpi anti-gliadina di classe IgA e IgG), attualmente utilizzati per la diagnosi in età inferiore ai due anni e gli EMA (anticorpi anti-endomisio di classe IgA). Il test più importante è rappresentato dagli anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA, che consentono di identificare fino al 98 per cento delle persone con sospetta celiachia. Sono attualmente in fase di sviluppo altri test come quelli sui cosiddetti “anticorpi antiactina” e sugli anticorpi diretti contro i peptidi deamidati di gliadina, specificamente coinvolti nelle cause del danno intestinale, che sono però al momento in fase di studio. Per la diagnosi definitiva è necessario effettuare la biopsia dell’intestino tenue. Si preleva un frammento di mucosa intestinale e lo si analizza in laboratorio, per individuare la caratteristica tipica della celiachia, cioè l’atrofia più o meno severa dei villi intestinali.
Il prelievo si ottiene per via endoscopica in corso di gastroscopia, cioè inserendo attraverso la bocca un endoscopio (un tubo lungo e sottile) che passa poi attraverso esofago e stomaco, fino a raggiungere l’intestino, dove asporta un campione di tessuto. L’esame si effettua somministrando alla persona dei farmaci sedativi, riescono cioè a indurre uno stato di calma e sonnolenza necessaria per l’esecuzione dell’esame, può risultare fastidioso soprattutto per le persone emotive e per i bambini. L’esecuzione degli esami è però l’unico sistema per far seguire alla diagnosi la dieta priva di glutine.

Sbagliato definirla disturbo alimentare
Riconosciuta come malattia sociale dalla legge 123 del luglio 2005, la celiachia è un problema che parte dall’alimentazione e che può essere definito una intolleranza al glutine. Non si tratta, però, di un problema di tipo allergico, ma di una condizione digestiva cronica provocata dal contatto del glutine, proteina del frumento, con la mucosa intestinale. La celiachia è un disturbo di tipo autoimmune: quando l’organismo della persona predisposta è sottoposta al contatto con il glutine, la reazione immunitaria si scatena attraverso l’attivazione dei linfociti intestinali che producono alcuni mediatori, chiamati citochine, in grado di distruggere i villi dell’intestino. In questo disordine immunologico si verifica la produzione di autoanticorpi diretti verso un antigene, la transglutaminasi tissutale, che è presente in tutte le cellule che compongono l’intestino”. Per questo motivo i disturbi sono soprattutto di tipo intestinale, ma non solo: la transglutaminasi tissutale si trova distribuita un po’ ovunque nell’organismo umano. Per questo motivo la reazione autoimmune, una volta innescata, può coinvolgere molte altre zone del corpo. La reazione autoimmune causa uno stato di infiammazione cronica che provoca una modifica della struttura della mucosa. Questa modifica è responsabile dei disturbi legati alla celiachia. Normalmente, l’intestino tenue ha una struttura simile alla superficie di un tappeto: è cioè costituita da migliaia di minuscole sporgenze digitiformi, i cosiddetti “villi intestinali”. La funzione di queste strutture è aumentare la superficie interna dell’intestino, in modo che si possa assorbire la maggiore quantità possibile di sostanze nutritive introdotte con i cibi.

Giorgia Andretti

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