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Mamma, non voglio andare a scuola

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Difficoltà di apprendimento, incomprensioni con la maestra, litigi con i compagni: il rifiuto può avere ragioni diverse. Alla soluzione si arriva, ascoltando i bambini.

“Abbasso la scuola!” Una frase d’altri tempi, che vedremmo bene sui giornalini d’epoca, “amarcord”, diremmo, della nostra infanzia, o, addirittura, di quella degli attuali nonni. Eppure questa “storica” frase è letteralmente scomparsa dai muri delle nostre città e dai quaderni dei nostri bambini. Sarà perché oggi si va a scuola più volentieri? Probabilmente sì, in molti casi, ma, per tanti piccoli studenti è soltanto cambiato il modo di esprimere il proprio rifiuto verso una realtà poco gradita: alcuni trovano ogni scusa per restare a letto, mentre altri si isolano, smettono di essere partecipi anche della vita familiare. Anche quando si riesce, dopo tante fatiche, a tirar fuori la vera motivazione del rifiuto la risposta che arriva è quasi sempre laconica: “la scuola non mi piace”. Ma cosa non piace ai bambini della realtà scolastica e come è possibile intervenire per cercare di rimediare al loro disagio?

Vado male a scuola
Innanzitutto ciò che i bambini non gradiscono è la sperimentazione del fallimento e, con esso delle mortificazioni. Quando il piccolo, alle prese con lettere dell’alfabeto, non può fare a meno di tracciare inizialmente degli scarabocchi o quando i numeri sono per lui segni incomprensibili, la gioia e l’ansia di imparare si trasforma in un incubo senza fine che rende evidenti, al bambino prima ancora che ai suoi genitori, le difficoltà di approccio con lo studio. Il problema sta spesso nel fatto che il piccolo non è abituato a misurarsi con i suoi insuccessi, o, magari, è cresciuto in un clima familiare dove ogni cosa è resa facile, tanto che, di fronte al primo ostacolo, si sviluppa in lui un doloroso senso di inadeguatezza A questo si aggiungono, a volte, i rimproveri della maestra o le prese in giro dei compagni che finiscono con l’aggravare la situazione.

Il banco è una “gabbia”
Ma le cause di disagio sono molteplici e non si fermano alle difficoltà iniziali nello studio né all’incapacità di accettare le sconfitte. Per alcuni bambini, infatti, la scuola rappresenta un luogo dove dover rispettare delle regole di comportamento che possono, in qualche caso, andar strette. Stare nei banchi molto tempo seduti senza potersi alzare a proprio piacimento, non poter parlare liberamente ogni volta che se ne ha voglia, così come dover lasciare spazio agli altri sia “fisicamente” che in termini di attenzioni richieste, sono spesso uno scoglio non facile da superare, soprattutto quando non si è provveduto per tempo ad insegnare ai piccoli le regole di educazione e di comportamento sociale.

”Mi prendono in giro”
A determinare un atteggiamento di rifiuto della scuola, concorrono poi, più spesso di quel che si potrebbe pensare, anche i rapporti con i coetanei. Alcuni bambini, infatti, sperimentano nella scuola una forte difficoltà nel relazionarsi con gli altri. La causa? Per lo più si tratta di paure non risolte nell’affrontare il mondo esterno, di insicurezze mal gestite o di distacchi avvenuti in modo inadeguato. Ma, meno di rado di quanto ci si aspetti, i rapporti con i compagni di classe sono resi difficili anche dalla proverbiale “crudeltà” infantile, quella che fa prendere in giro il compagno più grasso, quello con gli occhiali o quello più brutto, fino ad arrivare, ancor più insensibilmente, a deridere chi non possiede vestito o zainetto all’ultima moda.

Ascoltiamo i bambini
Partendo dalle soluzioni ad un disagio ormai “conclamato” per arrivare fino ai rimedi che racchiudano anche una “intrinseca” prevenzione, la chiave primaria per mettere termine ad un rifiuto ostinato è certamente il dialogo e la comprensione. E’ molto importante non sottovalutare i segnali di disagio che i nostri figli ci comunicano, né è bene giustificarli come comportamenti “tipici” dei bambini. Anche le punizioni non raggiungono i risultati sperati, anzi, talvolta, moltiplicano gli effetti deleteri dei problemi irrisolti. Ciò che invece è fondamentale è cercare di parlare con i nostri figli delle loro difficoltà, provare a capire cosa si nasconde dietro la svogliatezza o il malumore, mostrare comprensione verso le loro paure e le loro insicurezze, chiedendo la collaborazione degli insegnanti, se necessario. Ricordiamoci e ricordiamo alle maestre di nostro figlio, qualora ce ne fosse bisogno, che non esistono bambini “asini” ma solo ragazzi con qualche difficoltà iniziale in più nello studio, che vanno incoraggiati e sostenuti dai genitori e dalla scuola per poter arrivare allo stesso livello degli altri e, qualche volta, anche più avanti.
Quanto all’incapacità dei bambini di saper assumere atteggiamenti idonei all’interno di una classe, cerchiamo di lavorare sul nostro stile di vita. Creiamo occasioni di cene e pranzi in cui il bambino venga coinvolto nelle “chiacchiere” e spieghiamogli che deve attendere che gli altri abbiano finito di parlare per intervenire, così come non è bello alzarsi da tavola mentre tutti sono ancora seduti a parlare o a mangiare. In ultimo, evitiamo di minimizzare ma anche di ingigantire le situazioni in cui il bambino è o si ritiene vittima delle prese in giro sei suoi compagni. Mostriamo comprensione verso il piccolo se capiamo che questa è la causa dei suoi rifiuti, cerchiamo però di fargli capire che i suoi compagni non sono cattivi, ma sono solo bambini che non sono in grado di distinguere il valore delle cose in modo opportuno. Cerchiamo insomma di infondere sicurezza in nostro figlio, di accrescere la sua autostima, di mostrargli tutti i lati migliori di sé che lo faranno sentire importante da bambino oggi e da adulto domani. Se necessario, anche in questo caso, chiediamo il supporto della scuola che ha il dovere ed il potere di gestire le eventuali situazioni di disparità o di diversità all’interno di una classe.

 

Marina Giulia Bordoni

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