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Cibo, bambini e pubblicità

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I nostri figli sono dipendenti dalla pubblicità in TV, particolarmente in tema di alimentazione. Lo sostiene una ricerca dell’Università Roma Tre e Osservatorio di Pavia.

Nonostante le norme a tutela dell’infanzia in materia di pubblicità televisiva, un bambino italiano, che nell’arco di un anno guarda una media di tre ore di televisione al giorno, subisce circa 32.850 pubblicità di alimenti; in pratica, uno spot ogni 5 minuti. Un dato non certo confortante, reso noto dalla ricerca In bocca al lupo commissionata dalla Coop all’Università di Roma Tre, in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia, nell’ambito della campagna di promozione delle buone abitudini nutrizionali e motorie. La ricerca ha preso in considerazione i messaggi pubblicitari, di alimenti e bevande, trasmessi dalle tv pubbliche e private in Italia tra le ore 16 e le 19, la cosiddetta “fascia protetta”. Lo studio è stato comparato con i risultati raccolti in altri 10 paesi europei, dove i bambini – costretti a sorbirsi uno spot ogni 10 minuti – se la passano un pochino meglio dei coetanei italiani.

A volte la TV è cattiva maestra

Partendo proprio dalla ricerca In bocca al lupo, la professoressa Valeria Del Balzo, docente presso il Dipartimento di Scienze dell’Alimentazione presso l’Università di Roma La Sapienza, nel corso del suo intervento alla IV edizione del convegno Nutrimi, svoltosi di recente a Milano, ha denunciato la forte correlazione tra la pubblicità e la richiesta dei figli ai genitori per l’acquisto di alimenti ad alta densità energetica. Dati allarmanti, che evidenziano una situazione italiana peggiore della media europea. In Italia, dove il 30% dei bambini è obeso o in sovrappeso, gli spot che pubblicizzano cibi ricchi di grassi, zuccheri e sale rappresentano ben il 36% del totale di pubblicità. Questi alimenti sono utilizzati dai bambini non in risposta alla necessità biologica di appetito o fame, ma piuttosto come reazione a stimoli ambientali. Secondo l’esperta, è proprio la pubblicità ad aumentare la frequenza di consumo di alcuni alimenti incrementando la quantità globale di calorie assunte. E non si tratta solo di calorie di troppo, ma di “qualità” degli alimenti che vengono assunti. Per ciascuna ora trascorsa davanti alla tv, infatti, i bambini riducono, ogni giorno, il consumo di frutta e ortaggi di 0,14 porzioni. Esiste quindi una correlazione significativa tra guardare la televisione e modo di mangiare: più i bimbi vedono spot pubblicitari, più sono portati a consumare snack invece che alimenti sani come frutta e verdura. Tutto questo riduce la qualità nutrizionale della dieta.

Come recuperare le buone abitudini
Nel nostro paese, gli spot alimentari sono 1.256. Ogni bambino quindi vive in una realtà di 90 sollecitazioni quotidiane a ingerire cibo, bevande o integratori, nonostante una norma che vieta di interrompere i programmi per bambini con la pubblicità e che impedisce, a loro tutela, gli spot di alcolici nella fascia protetta. In estrema sintesi si può concludere che la massiccia esposizione a pubblicità alimentari contribuisce in maniera significativa alla cattiva educazione alimentare dei minori che troppo spesso mangiano per noia o per ansia. E, nell’attuale società dai ritmi a volte esasperati, i piccoli mangiano perché i genitori comprano, per placare il senso di colpa della loro assenza, prodotti zuccherati, ipercalorici e grassi che danno nell’immediato, con il senso di sazietà, la soddisfazione di riempire un vuoto. Il quadro complessivo restituito dallo studio “In bocca al lupo” evidenzia quindi un fenomeno che, in Italia come nel resto d’Europa, sta travolgendo secolari e molto più sane abitudini alimentari. Ricerche come questa, coordinata dalla Professoressa Marina D’amato docente di Scienze dell’Alimentazione Università Roma Tre, dovrebbero quindi stimolare le istituzioni competenti ad intervenire sulla materia e ad aprire iniziative concrete e tempestive, di cui c’è sicuramente bisogno. Un’idea può essere quella di usare la pubblicità stessa per insegnare a mangiar bene, secondo la strategia già adottata in Spagna, Gran Bretagna, Polonia e Portogallo. La Francia ha di recente adottato un provvedimento che impone a tutti gli spot alimentari televisivi di inserire una scritta in sovrimpressione che richiami l’attenzione dei telespettatori verso una dieta bilanciata e l’utilità dell’esercizio fisico. Non è ancora dato sapere con quale risultato, ma non c’è ragione di non credere che una campagna educativa in tal senso non abbia un impatto positivo, almeno a livello di un ripensamento o di una riflessione. Iniziative di questo genere cominciano a suscitare interesse, ma è opportuno rimarcare che nel nostro paese non sono state ancora recepite. Il testo integrale della ricerca sul sito web della Coop .

 

Marina Zenobio

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