Ormai è successo, praticamente in tutta Italia: con la metà di febbraio, sono state distribuite le pagelle scolastiche agli alunni, dai piccoli della prima elementare ai ragazzi delle superiori. Davanti a ogni aula, la consueta, pacata ressa dei genitori che, un po’ in ansia, sicuramente molto curiosi, aspettano il loro turno per ricevere dalle mani dei docenti l’agognato documento di valutazione e per approfittare di quei due minuti di dialogo. E poi, il panorama dei volti: molti sorridono, altri impugnano il telefonino per mettere al corrente i nonni, altri ancora non si dimostrano particolarmente soddisfatti. Quante reazioni è in grado di suscitare un semplice foglio di carta…! Perché le pagelle sono cariche di aspettative attese dai genitori nei confronti dei figli, sono il vissuto che ciascuno di noi si porta dentro, sono il banco di prova verso il quale i nostri figli iniziano ad affrontare il futuro.
Una pagella non è una sentenza
Dare importanza alle pagelle è sicuramente essenziale: un voto negativo, un commento non proprio edificante sul comportamento non vanno sottovalutati. Così come è giusto gioire per una bella valutazione. Non è giusto, però, ridurre tutto il comportamento scolastico ai voti iscritti in pagella. Non è una sentenza lapidaria e inappellabile, ma soltanto un linguaggio codificato attraverso il quale i docenti cercano di comunicarci qualcosa sui nostri figli. Un voto basso può significare che un bambino, un ragazzo può fare di più e meglio: sta a noi capire perché non ha fatto quel poco di più. È un periodo impegnativo a casa? È stanco, demotivato? Forse il corso di studi superiori che ha scelto non fa per lui? Davanti ci sono ancora quattro lunghi mesi in cui la situazione si può ribaltare completamente. Quattro mesi per rimediare e per parlare, per far venire alla luce problemi nascosti e finalmente affrontarli. Lo stesso vale per il bambino più piccolo: un voto non altissimo alla scuola primaria può voler dire che ha bisogno di più tempo per aprirsi, per ingranare con un momento sicuramente impegnativo. E magari ha solo bisogno di un sostegno. Ma ogni alunno è un universo a parte, che un solo voto – in numeri, per di più – difficilmente riesce a inquadrare. Per questo, per qualsiasi dubbio, è importante il confronto con le insegnanti, da affrontare con la massima disponibilità e dialogo e non con il piglio di avvocati difensori dei propri bambini.
Premi sì, ma con buon senso
E se invece i voti sono stati positivi? È legittimo dare un premio? Anche qui non è facile fornire indicazioni, perché ogni famiglia ha un suo personale codice di regole educative, tutte quante valide. Sicuramente è giusto gratificare un bambino per degli ottimi risultati o, comunque, per avere messo impegno nel proprio lavoro scolastico migliorando una situazione non ottimale. È un modo per fargli capire che apprezziamo il suo impegno e il sforzo, che lo sosteniamo e soprattutto, siamo orgogliosi di lui. Per un ragazzino che si impegna è importante avere questa certezza. Quindi, un piccolo premio, specie se non richiesto, se non promesso, può avere un grande valore di incoraggiamento. Il regalo deve essere di simbolico, anche legato alla scuola: un bel libro di lettura, una penna, un set di pastelli colorati, se ama disegnare. Oppure, può essere un piccolo evento: una serata in pizzeria con la famiglia, oppure un pomeriggio al cinema o ancora una mostra a misura di bambino. Il premio, insomma, deve essere un’occasione per essere felici insieme a causa di un bel traguardo. Sono da evitare assolutamente premi importanti, soprattutto se utilizzati come scambio: un giaccone firmato, un Mp4, addirittura un cellulare se il ragazzino ottiene certi risultati a scuola. In questo modo si sposta l’attenzione dal vero obiettivo: fare al meglio il proprio dovere per ottenere buoni voti. E un ragazzino si ritrova a studiare senza una reale motivazione.
Sahalima Giovannini