Chi ha detto che, dopo i due anni, i ritmi del sonno si regolarizzano e il bambino assume esigenze di riposo più adulte? Non sempre è così: ci sono infatti molti piccoli che, dopo i due anni, cercano di ritardare il più possibile l’ora di andare a dormire, pretendendo lunghi rituali della buonanotte o addirittura chiedendo con insistenza di infilarsi nel lettone con mamma e papà. Le motivazioni possono essere diverse: è importante capire le motivazioni per agire, ovviamente, caso per caso.
Può avere meno bisogno di sonno
Una prima motivazione può essere, semplicemente, legata al diminuito bisogno di sonno dei bambini nell’arco della giornata. Dai due anni in poi, il sistema nervoso di un bimbo si modifica e matura, rendendolo più sveglio e reattivo durante le ore diurne. Se fino all’anno e mezzo può avere bisogno di due sonnellini durante il giorno, uno breve al mattino e uno più lungo nel primo pomeriggio, questa esigenza cambia dopo i due anni, quando un riposino pomeridiano è più che sufficiente. Dai tre anni in poi, inoltre, molti piccoli rinunciano del tutto anche alle lunghe dormite pomeridiane, limitandosi ad un pisolino di mezz’ora o addirittura saltando anche quello. È importante rendersi conto di queste modifiche e non obbligare il piccolo a fare, tutti i giorni, un numero di riposini superiori alle reali esigenze di sonno, nella convinzione che dormire tanto gli faccia bene. Spesso, infatti, il bambino si appisola per abitudine e non per reale stanchezza e la sera non avrà abbastanza sonno per andare a nanna a un orario regolare.
Forse è troppo stimolato durante la giornata
Il rifiuto di andare a letto potrebbe essere legato alle nuove, stimolanti esperienze che il bambino vive nel corso della giornata iper-eccitando il suo sistema nervoso. A questa età i bambini sono molto interessati a quello che avviene nell’ambiente esterno. Iniziano a frequentare il nido e la scuola dell’infanzia, vengono coinvolti in nuove attività, conoscono coetanei con cui stringono rudimenti di amicizia e con i quali hanno i primi scontri. Anche al parco, ai giardini, nelle passeggiate sono attenti e ricettivi e immagazzinando informazioni che, talvolta, non sono ancora in grado di spiegare a loro stessi. È una fase del tutto normale e può essere arginata stando molto vicini al proprio bambino, per spingerlo ad aprirsi e a spiegare, nel modo in cui è in grado di fare, le sue curiosità e i suoi timori. È anche bene controbilanciare l’eccesso di attività durante il giorno con giochi e passatempi rilassanti nelle ore che precedono il sonno notturno: niente corse sfrenate in casa, salti sul letto o visione di cartoni eccitanti. Sì a una lettura tranquilla, con la luce soffusa e la presenza affettuosa della mamma.
Ha paura che si presentino gli incubi
È anche possibile che un bambino rifiuti di andare a dormire perché teme di fare brutti sogni. Dopo i 18-24 mesi la fase di sonno onirico è particolarmente intensa. Fatti quotidiani normali, come il rientro della mamma al lavoro o un bisticcio al nido, sono rielaborati nel sonno sotto forma di incubi che fanno davvero paura. Il sogno d’angoscia si presenta nel cuore della notte o verso il mattino: il bambino piange, si sveglia e chiama i genitori. Frequente è anche il risveglio ansioso, una manifestazione provocata dalla paura del bambino di trovarsi da solo al buio e lontano dai genitori. A queste età il piccolo si rende conto di essere solo e teme possa accadergli qualcosa. Quindi chiama, vuole essere coccolato e chiede di non essere lasciato solo. Sapere di potersi svegliare di notte, da solo in una cameretta buia, può essere la causa del rifiuto di andare a dormire. Per tranquillizzare il bambino è importante restare vicini a lui, lasciare una piccola lucina accesa in cameretta e correre da lui quando chiama, senza però cedere alla tentazione di portarlo nel lettone. È inoltre giusto dedicargli attenzione, parlando con lui ogni sera delle esperienze vissute e non tralasciando particolari che, se per gli adulti sono normali, possono causare disagio a un bimbo che non ha gli strumenti psicologici per affrontarli e superarli. Il pediatra o uno psicologo esperto potranno suggerire a mamma e papà come comportarsi.
Giorgia Andretti
Consulenza della dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta, laureata in psicologia medica