
Nelle classi della materna le piccole liti sono “fisiologiche”, ma non bisogna sottovalutarle. Davanti ad episodi ripetuti è bene intervenire per difendere la serenità del bambino.
Gioca, disegna, fa i puzzle, corre in giardino. E ogni tanto si prende qualche calcio, uno spintone o una tirata di capelli. Normale che succeda alla scuola materna? Certamente, direbbero forse i papà, che di solito tendono a lasciar perdere, nella convinzione che il confronto – o meglio lo scontro – con i compagni aiuti a crescere. Non la pensano così, invece, soprattutto le mamme, giustamente desiderose che il luogo in cui il proprio figlio o figlia trascorre molte ore al giorno sia il più possibile sicuro. Certo, qualche piccolo incidente come un ginocchio sbucciato o una caduta dal triciclo va messo in conto: capita anche con le migliori educatrici. Ma il discorso è diverso quando il bambino subisce vere e proprie aggressioni fisiche da un compagno, magari ripetute, magari in grado di causare disagio oltre che dolore fisico.
Mai sottovalutare
Gli episodi di aggressività fatti di botte, calci, morsi e tirate di capelli sono sempre esistiti tra i bambini più piccoli. Questo non significa però che si debbano accettare o sottovalutare, soprattutto se il bimbo aggredito ha riportato piccoli danni fisici o se gli episodi ripetuti gli provocano un rifiuto verso la scuola materna, compromettendo la serenità alla quale ha diritto. A questa età, d’altra parte, non è corretto parlare di bullismo, dal momento che i bambini sono ancora piccoli e inconsapevoli: se aggrediscono, lo fanno per una forma di antipatia verso un compagno, per invidia, per portargli via un giocattolo. Agiscono d’istinto, da soli, magari il giorno dopo già non si ricordano della malefatta compiuta. E non esiste il rischio che imparino a mettere in atto quelle pericolose alleanze con altri bambini che si verificano, purtroppo, più avanti negli anni e che richiedono un approccio più delicato e complesso.
Un intervento su misura
Che cosa fare, quindi? Dipende dalle situazioni. Se si tratta di un episodio isolato e, soprattutto, da poco, che non ha comportato danni al bambino, allora in questi casi è davvero opportuno lasciar perdere. Naturalmente è bene avere l’accortezza di raccomandare al proprio figlio di parlare sempre, a casa o con l’insegnante, di qualsiasi avvenimento possa creargli disagio. In questo modo è possibile avere sotto controllo la situazione. Se ci si accorge che l’episodio si ripete, è invece doveroso intervenire. Prima di tutto si deve parlare con il proprio figlio, per scoprire che cosa provoca il litigio o l’aggressione. Il bimbo va messo a proprio agio: solo così è possibile capire quello che è davvero successo, in modo da dare il giusto peso alla situazione. Quindi, è sbagliato farlo sedere davanti a sé e porgli una domanda diretta, del tipo: è vero che il tuo amico ti ha picchiato? Difficilmente in questo modo il piccolo si sente libero di raccontare con serenità quel che è accaduto: potrebbe negare per una forma di timore o dire di sì anche se non è accaduto nulla, pur di sottrarsi a una situazione in cui si sente in difficoltà. È meglio iniziare il discorso casualmente, magari mentre si gioca insieme, lasciando che sia lui – o lei – a parlare, partendo da una domanda banale del tipo: ti sei divertito a scuola? Con chi giochi più volentieri? In genere, con questo approccio meno diretto se c’è qualche problema il bambino ne parla spontaneamente. In questo modo è anche possibile accertare che il bambino non abbia responsabilità nell’aggressione che subisce dal compagno, magari perché l’ha provocato per primo, deridendolo per qualche ragione o portandogli via i giocattoli.
Difendersi, perché no?
Se ci si assicura che il proprio bambino non ha colpe, il fatto va segnalato all’insegnante che, come responsabile, deve farsi carico del problema, segnalando ai genitori del bambino aggressivo il comportamento del figlio. Saranno questi, poi, a prendere le decisioni del caso per evitare che il piccolo manifesti il comportamento aggressivo verso uno qualsiasi dei suoi compagni. Non si deve avere il timore di apparire noiose o invadenti: segnalare un disagio significa prendersi cura della sicurezza non solo del proprio bambino ma di quella di tutta la classe. Inoltre, è importante rendere consapevole anche il proprio figlio della situazione, in modo che si senta sì protetto dagli adulti ma impari anche a difendersi. La logica del porgere l’altra guancia non è sempre applicabile al periodo dell’infanzia, quando un bambino impara a gestire le proprie capacità di difesa e di autoaffermazione, così importanti anche nella vita futura. Questo non significa che si debba fomentare la naturale aggressività di ogni bambino, esattamente come non gli si deve insegnare a essere passivo, a sopportare tutto come un “bravo bambino”. È meglio che impari a essere fermo e deciso: non è impossibile, anche se ha solo quattro o cinque anni. Il suo amico lo ha colpito? Con tranquillità e fermezza, gli può dire: “Si può sapere perché fai così?”. Questo modo di porsi può già valere come tattica difensiva perché può spiazzare e indurre a rinunciare ad altri attacchi. Se poi il compagno insiste c’è sempre la possibilità di riferirlo alla maestra. E se neppure questo basta, allora può essere utile “autorizzare” il proprio figlio a mettere in atto qualche piccola reazione: spesso basta poco per indurre l’aggressore in erba a non provarci più e per regalare al bambino aggredito una positiva iniezione di fiducia.
Roberta Raviolo
Ha collaborato:
Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra – Psicoterapeuta- laureata in psicologia clinica