Testosterone e gravità sintomi Covid-19 trovata associazione

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Testosterone e gravità sintomi Covid-19 trovata associazione

covid e testosterone
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Nei mesi scorsi, quando si parlava della serietà della malattia da Sars-CoV-2, una realtà balzava agli occhi di tutti: in media, gli ammalati di sesso maschile erano più gravi rispetto alle femmine. Succedeva anche all’interno di una stessa famiglia: mentre i soggetti di sesso femminile erano asintomatici o accusavano sintomi lievi, i maschi mediamente stavano peggio. Uno studio internazionale coordinato dall’Università di Siena e che ha coinvolto, in Italia, tra gli altri centri, anche la Sapienza – l’Università di Roma, ha dimostrato che gli individui di sesso maschile tendono a sviluppare la forma più grave di COVID-19.

La ricerca ha coinvolto seicento uomini

La responsabilità, secondo lo studio, sarebbe di alcune varianti genetiche che rendono il recettore del testosterone meno funzionante, predisponendo appunto alla forma della malattia più seria.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista EBiomedicine del gruppo Lancet, è stato condotto su una casistica di seicento maschi contagiati dal virus SARS-CoV-2, porrà sicuramente le basi per futuri trials clinici sull’uso del testosterone in soggetti portatori di queste varianti. Gli esperti avevano già notato che il testosterone fosse un importante modulatore del sistema immunitario e potenzialmente implicato nell’associazione tra COVID-19 e diabete, ma gli studi precedenti mostravano dati contrastanti. Il lavoro multicentrico ha chiarito che è la funzionalità del recettore androgenico, legata alle sue varianti genetiche, la nuova chiave di lettura per comprendere queste discrepanze e l’evoluzione clinica dell’infezione nell’uomo.   

Le basi per studi futuri

Questi risultati sono stati resi possibili grazie alla partecipazione di numerosi centri clinici oltre all’AOUS –  Azienda ospedaliero-universitaria Senese  – che hanno reclutato pazienti in tutta Italia. La collaborazione è stata estesa a: Gruppo di Bioingegneria dell’Università di Siena e di esperti di intelligenza artificiale del dipartimento di Ingegneria dell’informazione e Scienze matematiche dell’Ateneo, insieme ai gruppi di Endocrinologia di Siena e della Sapienza, utilizzando la piattaforma di sequenziamento recentemente implementata dall’Ateneo senese. Sono necessari ulteriori studi per identificare queste varianti e soprattutto per rendere possibile un sistema che riesca a identificarne la presenza nei soggetti di sesso maschile che sarebbero quindi più a rischio. Questo presupporrebbe poi una maggiore attenzione nella messa in atto di norme di sicurezza: mascherine, igiene delle mani, distanziamento. Inoltre permetterebbe di capire quali sono i casi a rischio di ricovero ospedaliero e quindi farebbero capire in anticipo in quali casi sarebbe opportuno iniziare la terapia con gli anticorpi monoclonali.

Questi farmaci sono infatti dedicati alle persone che sembrano maggiormente a rischio di sviluppare forme gravi ed è importante saperlo prima.

Giorgia Andretti

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