Noi genitori lo facciamo a fin di bene: se nostro figlio ha problemi di balbuzie, inciampa nelle parole o ripete alcune sillabe, cerchiamo di aiutarlo. Lo incoraggiamo, lo spingiamo a sforzarsi di parlare bene, gli stiamo molto vicini. Qualche volta forse lo rimproveriamo un po’. Lo facciamo per lui, per stargli vicini. Attenzione, però: in base alle ultime ricerche, questa attenzione eccessiva può rivelarsi controproducente e sortire l’effetto contrario. Potrebbe cioè spingere il bambino a sentirsi un “sorvegliato speciale” e l’ansia di questa situazione lo può mettere ancora di più in difficoltà. È il caso, quindi, di imparare a relativizzare il problema.
Mai mettere ansia a un bimbo che balbetta
Secondo gli esperti del Centro di ricerca e cura balbuzie e docente del corso di laurea in Logopedia dell’Università La Sapienza di Roma, anche se mamma e papà sono giustamente preoccupati, dovrebbero evitare atteggiamenti di controllo purtroppo spontanei. Il solo effetto derivante da questo tipo di controllo, avrebbe il solo effetto di portare il bambino in una situazione di ansia: e questo non fa che amplificare il problema. Indurlo alla calma, suggerendogli di parlare più lentamente, dicendogli “prendi fiato” o altre frasi che interrompono il suo discorso, servono solo a mettere il piccolo in ansia poiché sottolineano un problema di cui il bambino si rende conto. Anche mettere fretta non va bene: frasi come “dai, coraggio, sto aspettando” creano stress al bambino e peggiorano la disfluenza. Completare il suo discorso, suggerire frasi e indovinare il pensiero del bambino interrompe il processo di comunicazione che egli sta cercando di completare da solo. Vietato, infine, criticarlo con la speranza di scuotere il suo amor proprio. Le critiche non servono a incoraggiare il bambino, né risvegliano il suo senso d’orgoglio. Sono solo colpi inferti alla sua autostima peggiorando ulteriormente la balbuzie. Stesso discorso vale per le critiche pseudo-costruttive, del tipo: “tuo fratello più piccolo parla meglio di te” o “se non parli meglio, i tuoi amici ti prenderanno in giro”.
Permettiamogli di esprimersi in libertà
È preferibile creare nell’ambiente domestico un clima rilassato e positivo, finalizzato a rafforzare nel piccolo la fiducia nelle proprie capacità di parlare. Mamma e papà, le sue figure di riferimento, devono adottare alcuni atteggiamenti ed evitarne altri. È bene parlare con calma, lentamente, facendo pause. Quando il piccolo ha terminato il proprio discorso, aspettiamo qualche secondo prima di iniziare a parlare. E soprattutto non facciamo domande inutili: è preferibile lasciare che il bambino possa esprimere liberamente un concetto. Al posto di tante domande limitiamoci a dire: “Raccontami come è andata a scuola”. Le espressioni del viso sono importanti. Da un sorriso, dall’annuire con la testa da parte di mamma e papà il piccolo capisce il grado di attenzione a ciò che sta dicendo, indipendentemente da come lo dice. Questo per lui è fonte di grande sicurezza. Fondamentale infine, la collaborazione dei famigliari. Se anche i fratelli più grandi, i nonni, gli amici adulti, impiegano semplici regole di rispetto per la comunicazione del bambino, per il piccolo è una forma di aiuto più consistente.
Cure su misura per ogni età
Oltre al sostegno della famiglia, il bambino di pochi anni può trarre beneficio da trattamenti che favoriscono la fluidità del linguaggio in modo ludico, coinvolgendo anche le capacità motorie e il coordinamento che nei più piccoli sono collegati con l’espressione verbale. Il trattamento psicomotorio è un metodo adatto ai bambini di tre – quattro anni con problemi di linguaggio, l’obiettivo è favorire una maggiore coordinazione dei movimenti e, indirettamente, delle emozioni e del linguaggio. Il trattamento è condotto da un terapista esperto in neuro-psicomotricità e si svolge in un contesto di gioco. La logodinamica prevede un approccio più “globale”, che affronta la balbuzie dal punto di vista del linguaggio, ma anche dell’emotività e della psiche. Si tratta di un metodo adatto per ogni tipo di età, già a partire dai tre anni, prima che il bambino si confronti con la realtà scolastica quando eventuali difficoltà potrebbero rendere il problema della disfluenza più evidente e più difficilmente curabile. Il trattamento logopedico e la psicoterapia sono adatti ai bambini più grandicelli: anche se in modo diverso, insegnano al ragazzino a gestire l’ansia che si accompagna alla disfluenza. E non va sottovalutata l’utilità di tecniche come il canto, la recitazione, il doppiaggio, ovviamente nel caso di ragazzi di una certa età: sono metodi appaganti e costruttivi per imparare a gestire le difficoltà di linguaggio, arrivando addirittura a superarle.
Sahalima Giovannini