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Attenti ai rischi della celiachia

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Come si manifesta e quali danni può arrecare questa patologia che provoca l’atrofia dei villi intestinali

La malattia celiaca (o celiachia) è dovuta a un danno della mucosa del piccolo intestino, cioè di quella parte del tubo digerente deputata all’assorbimento dei nutrienti introdotti con la alimentazione e localizzata tra lo stomaco e il colon. Per assolvere meglio alla funzione assorbitiva la mucosa del piccolo intestino presenta delle piccolissime estroflessioni della membrana dell’epitelio (“villi”) che hanno la funzione di aumentare la superficie assorbitiva. Il danno della mucosa intestinale nella malattia celiaca consiste nella perdita dei villi (“atrofia subtotale”) dovuta alla gliadina, cioè a una frazione proteica del glutine, contenuta nella farina di frumento ma anche in altri cereali quali orzo, segale, avena.

I danni alla mucosa intestinale
La celiachia si verifica in soggetti geneticamente predisposti nei quali la gliadina causa reazioni immunologiche a livello della mucosa del piccolo intestino con conseguente danno dell’epitelio e perdita dei villi. In altri termini, “l’incontro” della gliadina con alcune cellule immunologicamente attive presenti nella mucosa intestinale (linfociti), innesca delle reazioni a catena con produzione di infiammazione e danno della mucosa intestinale.
La base genetica della malattia è suggerita dalla sua elevata incidenza in parenti di I grado (circa il 20%) e dalla elevata concordanza della malattia in gemelli monozigoti (70%-80%).

Una patologia in aumento
Negli anni ’70 e ’80 la prevalenza stimata in diverse regioni europee variava tra un caso su mille e uno su quattromila. Attualmente, dopo interessanti studi di screening in soggetti senza sintomi (studenti, donatori di sangue, etc.), si ritiene che la prevalenza della malattia sia più elevata di quanto ritenuto in passato, in particolare intorno a un caso su duecento e, in base a dati più recenti, intorno a uno su cento.

Come si manifesta
Può insorgere in qualunque periodo dell’età pediatrica. La forma classica è quella della tipica sindrome da malassorbimento, cioè diarrea cronica con feci abbondanti, maleodoranti, dimagrimento, addome globoso, vomito. Questo modo di presentazione oggi si riscontra meno frequentemente che in passato, forse perché la tendenza a introdurre i farinacei nel lattante dopo il 6° mese di vita ha modificato e attenuato i sintomi di esordio della malattia. Oggi si riscontrano forme cliniche di malattia celiaca più attenuate o sfumate rispetto alla forma classica (bambini con dolori addominali, meteorismo, feci molli ma non liquide) o forme cosiddette “atipiche” in cui si osserva rallentamento o arresto della crescita, manifestazioni extra-intestinali quali osteoporosi, ipoplasia dello smalto dei denti e anomalie dei dati di laboratorio quali un basso valore di sideremia (il ferro nel sangue) e di ferritina (il ferro dei depositi).

Come si arriva alla diagnosi
La diagnosi di certezza della malattia celiaca richiede la biopsia della mucosa duodenale o digiunale (cioè di quel tratto del tubo digerente che si incontra subito dopo lo stomaco) con dimostrazione all’esame istologico del danno caratteristico della malattia, cioè la perdita dei villi intestinali con atrofia della mucosa. La biopsia viene oggi eseguita con l’endoscopia, che, dopo opportuna sedazione, viene ben tollerata dal bambino di qualsiasi età. Di solito, si giunge alla esecuzione della biopsia in bambini nei quali, per il sospetto di malattia celiaca, sono stati determinati sul sangue prelevato i livelli di alcuni anticorpi, la cui positività suggerisce la presenza della malattia celiaca. Si tratta degli anticorpi “anti-endomisio” (EMA) e, molto recentemente, degli anticorpi “anti-tranglutaminasi” (anti-TG). Entrambi sono anticorpi di classe IgA, dotati di elevatissima specificità (in pratica il 100%) e sensibilità (intorno al 90%). Studi recenti hanno suggerito che il bersaglio degli EMA sia proprio l’enzima transglutaminasi, presente a livello della mucosa intestinale, con il quale la gliadina ha un’elevata affinità: sembra che il legame tra quest’ultima e la transglutaminasi sia cruciale nell’iniziare il processo che porta al danno della mucosa intestinale.

Unica “cura” la dieta
Attualmente l’unico trattamento della celiachia è l’introduzione di una dieta senza glutine, rigorosa e in modo permanente (poiché la malattia dura per tutta la vita). Si devono eliminare, quindi, il pane, la pasta, la pasticceria, tutti gli alimenti contenenti glutine e altri cereali tossici quali orzo, segale, avena. Ciò non significa che la dieta del celiaco non possa essere varia e gustosa in quanto può comprendere riso, mais, patate, ortaggi, legumi, carni, pesce, frutta, latte, uova, noci, nocciole, mentre sono oggi disponibili sul mercato tantissimi prodotti di industrie specializzate nel settore della nutrizione che consentono di variare la dieta del celiaco. L’introduzione della dieta senza glutine determina in tempi piuttosto rapidi un miglioramento apprezzabile del quadro clinico, della crescita e dell’umore: questo miglioramento rappresenta un altro criterio diagnostico di malattia celiaca. Invece, la normalizzazione della mucosa del piccolo intestino procede più lentamente, allo stesso modo della negativizzazione degli anticorpi anti-endomisio e anti-transglutaminasi. E’ importante che il celiaco osservi scrupolosamente la dieta senza glutine: infatti la ripetuta introduzione di quantità anche piccole di glutine espone il soggetto con malattia celiaca al rischio di sviluppare linfomi intestinali in età adulta o malattie autoimmuni.

 

Prof. Salvatore Cucchiara

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