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Quando a scuola non mangia

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Una mamma redattrice alle prese con una problema comune: vediamo insieme cosa si può fare

E’ arrivata, lapidaria, sul diario scolastico. È la terza comunicazione (scritta, perché ci sono stati anche due colloqui) sullo stesso argomento: mio figlio a scuola non mangia quasi nulla, limitandosi a pochi bocconi dietro mille preghiere delle insegnanti. Non rifiuta solo frutta e verdura: a volte non accetta nemmeno la pasta o la carne. Risultato? Non si abitua a mangiare in modo corretto, rischia debolezza nelle ore pomeridiane e, non ultimo, costituisce un cattivo esempio per i compagni. Devo ammetterlo: vedere un giudizio negativo proprio sul cibo, quando all’inizio dell’anno mi preoccupavo soprattutto della disciplina e dell’ordine, mi fa un effetto un po’ strano. Anche perché a casa mio figlio mangia senza grossi problemi, anche se continua a non accettare del tutto i vegetali. In ogni caso decido di impegnarmi di più, evitando sgridate che sicuramente lo farebbero arrabbiare e otterrei l’unico effetto di indurlo a mangiare ancora meno. D’ora in avanti, niente merenda a metà mattina (tanto fa una colazione abbondante) e più convinzione nel proporgli frutta e verdura anche a casa, tutti i giorni, magari preparata in modi che anche lui possa apprezzare. Ho però intenzione di portare avanti un approccio su più fronti, come mi consigliano gli esperti.

Non voglio diventare grande!
Prima di tutto voglio capire se il rifiuto del cibo è per caso collegato a una fase un po’ critica della crescita. Il passaggio alla scuola primaria è impegnativo, si passa dal contesto soprattutto ludico della scuola per l’infanzia a ore trascorse al banco, per imparare materie nuove e complesse. Per quanto un bambino possa essere felice di apprendere e interessato alle novità, è normale che si scontri con difficoltà e fatica. Il suo disagio quindi si può manifestare anche attraverso il rifiuto del cibo. Soprattutto se i piatti erano ben accetti in epoca di scuola per l’infanzia. Dicendo di no al cibo della scuola e solo quello è come se il ragazzino volesse comunicare che non è ancora pronto per un mondo così nuovo e impegnativo e che quindi vorrebbe frenare la crescita, restando ancora un po’ un bambino piccolo. Che cosa fare? Parlare con lui il più possibile, senza interrogatori ma portando avanti un dialogo sereno e quotidiano. Eventuali difficoltà che lui non osa esprimere un rimprovero per un errore, un compito un po’ troppo complesso possono venire alla luce senza traumi. E possono essere affrontati anche in modo semplice: stando vicino al bambino per aiutarlo a fare i compiti, regalandosi un pomeriggio al parco tutti insieme, coccolandolo un po’ di più durante la giornata, come quando era piccolo. Ogni mamma, del resto, conosce i lati deboli e i punti di forza del proprio figlio e sa in che cosa va sostenuto un po’ di più. Se il problema del cibo si risolve almeno in parte, forse è proprio collegato a una difficoltà nell’accettare una situazione nuova e più complessa. Vedremo. In ogni caso le insegnanti andranno informate dell’evolversi della situazione, perché non pensino che si tratti solo di un capriccio.

Se il problema è proprio il cibo
Se non c’è un motivo riconducibile a una difficoltà a scuola, allora la questione va veramente focalizzata sull’alimentazione che viene proposta a scuola. Sulla qualità del cibo non ho niente da obiettare: la società che fornisce i pasti alla scuola di mio figlio (e a centinaia di altre) progetta menu sfiziosi ed equilibrati. Inoltre mette a disposizione il piano alimentare mese per mese, in modo che le famiglie possano essere informate su quello che viene presentato in tavola ogni giorno. Questo mi fa venire un’idea: perché non leggerlo insieme a mio figlio? Ci provo e devo dire che da parte del bambino l’interesse c’è: ci colleghiamo a internet e scarichiamo il menu completo delle prossime settimane. Lo stampiamo e ci mettiamo in poltrona a leggerlo: mi accorgo che lui è curioso, leggendo mi spiega che una cosa gli piace e l’altra meno, soprattutto perché “c’è poco sale”. Faccio marcia indietro e gli spiego che è la mamma a sbagliare, perché il sale non fa bene ai bambini, promettendogli che d’ora in avanti cercheremo di fare come i cuochi della scuola: un po’ meno sale, per crescere ancora più forti e sani, come un vero supereroe. Comunque il trucco della lettura serve: ogni mattina mio figlio vuole sapere che cosa lo aspetta per quel giorno e mi sembra più curioso e coinvolto.

A casa come a scuola
L’impegno di mettere meno sale (o meno burro, o condimenti in genere) nei cibi che preparo d’ora in poi proseguirà in modo concreto: se voglio collaborare con la scuola nell’obiettivo di una corretta educazione alimentare, devo dare il buon esempio anche a casa. Difficilmente se propongo a mio figlio un hamburger ben saporito e con tanto di maionese accetterà i sani bocconcini di vitello della scuola. Quindi, bando ai gusti troppo spiccati, via libera alla fantasia e a preparazioni più leggere e variate, sempre accompagnate da una porzione di verdura. Forse all’inizio non la mangerà e protesterà anche, ma imparerà a riconoscerla, ad accettare la presenza dei vegetali come una presenza famigliare e colorata in tavola. Partirò con la verdura più dolce, come i pomodori maturi, le carote e le zucchine, magari cucinandoli con un po’ di acqua, olio e dado senza glutammato, per renderle più morbide e appetibili. Chissà che non decida di assaggiarla … Poi, con il tempo, tenterò con la carta del crudo, che sicuramente ha un migliore apporto di vitamine e sali minerali. Magari potrò coinvolgere mio figlio nella preparazione di piatti semplici: sistemare le verdure nel piatto, lavare le carote, tagliarle a rondelle con un coltello non troppo affilato… Poi, potremo preparare insieme macedonie di frutta di tanti tipi diversi, aggiungendovi yogurt, succo di arancia o scaglie di cioccolato. Lascerò che sia lui a decidere come gestire il cibo. Forse servirà a responsabilizzarlo, a farlo sentire grande e riuscirò ad accorciare la distanza tra lui e le materie prime necessarie per preparare i nostri piatti.

Un orto casalingo
Gli esperti di alimentazione suggeriscono che la strada da seguire è proprio questa: l’accettazione del cibo passa attraverso la conoscenza, soprattutto da bambini quando si è poco sperimentatori e molto diffidenti verso tutto ciò che non si conosce. E i bambini di oggi conoscono poco la natura, l’ambito dal quale provengono i nostri alimenti. Per questo tra le varie iniziative delle società che si occupano di ristorazione delle scuole c’è anche la coltivazione di piccoli orti, per vedere come nascono e crescono i vegetali. Questo mi fa venire un’idea: perché non provare anche a casa? Abitiamo in un condominio, ma possiamo prendere un bel vaso e piantare qualche seme di carota, o zucchina, o una piantina di fagioli che cresce molto in fretta. Chiederò a mio figlio di aiutarmi a curare le piante, a innaffiarle, a smuovere il terriccio. Certo, sarà solo un micro-orto, ma forse vedere la pianta che cresce e cambia colore, per poi produrre il frutto lo incuriosirà, aiutandolo a superare le diffidenze. Gli spiegherò che anche lui, come quella pianta, per crescere e stare bene ha bisogno di tante preziose sostanze, che si trovano proprio in frutta e verdura, ma anche in carne, pesce e in tutti i cibi più sani. Certo, non sarà facile, ma tentare non nuoce. Ci metterò molta pazienza e se mi verrà la tentazione di desistere all’ennesimo “no” davanti alle zucchine ripiene terrò duro: la salute di un adulto parte proprio da una sana alimentazione durante l’infanzia.

 

Roberta Raviolo

 

Ha collaborato:
Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra – Psicoterapeuta- laureata in psicologia clinica

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