A causa di questa malformazione il midollo spinale non è protetto e questo può causare diversi problemi a carico del sistema neurologico: possono comparire disturbi al controllo degli sfinteri, al coordinamento dei muscoli e del movimento in genere. Secondo stime del Ministero della Salute, l’incidenza della spina bifida è di quattro – sei casi ogni 10.000 nati, circa 360 nuovi casi all’anno, in Gran Bretagna è di otto su mille e uno su mille in Giappone.
La spina bifida è dovuta a fattori genetici e ambientali. Nel 5% delle famiglie in cui nasce un bimbo con spina bifida c’è almeno un altro famigliare che ne ha sofferto. I ricercatori, sulla base di questa realtà, hanno condotto studi che hanno individuato mutazioni geniche presenti anche in persone sane, che sono considerate importanti fattori di rischio per la spina bifida, dal momento che compromettono la funzionalità di alcune sostanze coinvolte nel processo corretto di sviluppo del sistema nervoso. Fanno parte dei fattori ambientali l’iperglicemia e l’obesità della mamma. Anche l’assunzione da parte della madre, durante i primi due mesi di gravidanza, di farmaci antiepilettici come l’acido valproico e la fenilidantoina, conferisce un rischio maggiore di avere un figlio con spina bifida. Anche il basso livello nel sangue di acido folico nel padre, una vitamina del gruppo B che è coinvolta nel processo di produzione dei globuli rossi del sangue è considerato un fattore di rischio per la spina bifida.
La spina bifida può dare una sintomatologia neurologica più o meno grave, tutto dipende dal punto in cui si blocca la chiusura della colonna vertebrale. Dopo la nascita lungo il dorso si può apprezzare una lesione simile ad una cisti in rilievo, alcune volte il rilievo arriva ad impedire la posizione supina del bambino. I sintomi possono andare da paralisi muscolari di vario grado alla mancanza di innervazione con atrofia muscolare. La paralisi muscolare può coinvolgere anche il sistema vescicale con conseguente danno renale. L’intervento chirurgico può essere un’opportunità se il problema è di lieve entità. Si può accertare il problema già in gravidanza attraverso l’esame ecografico. L’esame è però poco affidabile se eseguito prima della decima settimana di gestazione.
Quando una donna segue un’alimentazione sana e bilanciata e gli esami del sangue dimostrano che la gravidanza procede bene e che non c’è carenza di alcuna sostanza, gli integratori non sono necessari. L’unica integrazione consigliabile, già prima della gravidanza, è la somministrazione di acido folico per la prevenzione dei difetti del tubo neurale. Se le analisi del sangue rivelano una leggera forma di carenza di ferro, si può assumere questa sostanza sotto forma di integratori: il ferro è infatti una componente dei globuli rossi, che contengono l’emoglobina, la sostanza che ha il compito di trasportare a tutto il corpo e quindi anche al feto l’ossigeno. Le donne che progettano di avere un bambino dovrebbero assumere acido folico nella dose di 5 mg al giorno, a partire da almeno tre mesi prima dell’inizio della gravidanza stessa. Quando il ginecologo lo ritiene, infine, può prescrivere alla gestante dosi di calcio e fluoro, importanti per la formazione dello scheletro e delle ossa del piccolo.
Sahalima Giovannini