Abramo, insieme a suo figlio Isacco, andò sul monte Moria e lì, dopo averlo legato, lo avrebbe dovuto uccidere come prova della sua ubbidienza a Dio. Il racconto prosegue con l’apparizione di un angelo intervenuto a bloccare la mano di Abramo. Il sacrificio religioso in questo caso sarebbe stato il grande responsabile dell’omicidio che, fortunatamente, non è avvenuto. Nel 431 a.C. arriva Medea, partorita dalla mente di Euripide. Medea, donna forte e determinata, arriva a uccidere i suoi figli per vendicarsi del tradimento del suo compagno, in questo caso è la vendetta l’artefice irrazionale finalizzata a colpire l’amore genitoriale del padre. Ogni genitore pronto a spezzare una vita di un figlio può esserne indotto da origini diverse e generalizzare non è possibile. Alcune volte la responsabilità è della voce delirante che, in modo imperativo impartisce ordini omicidi, altre è il troppo amore e, per evitare di far vivere ai figli una vita carica di dolore, la soluzione è la morte. Tra le altre motivazioni trovano spazio i difetti fisici e il pianto inconsolabile di un lattante, così difficili da accettare, mettendo a nudo di fatto la propria impotenza, fino al reagire in modo totalmente inappropriato.
Una indagine del 2014, portata avanti dall’associazione Paidoss, aveva evidenziato i seguenti numeri a proposito della violenza, sia fisica sia psichica sui minori:
Nel 2015, i Servizi di Protezione dei minori-CPS- degli Stati Uniti hanno ricevuto oltre quattro milioni di segnalazioni di violenza. Tra queste, in circa settecentomila è stato accertato abuso. I neonati e i bambini piccoli sono a maggior rischio indipendentemente se maschi o femmine. I bambini morti per incuria o violenza sono stati 1.670, i responsabili sono stati per il 75% genitori che hanno agito da soli o con altre persone mentre le mamme che si sono rese responsabili della morte dei loro figli da sole sono state il 25%.
La madre che arriva a compiere l’atto estremo nella grande maggioranza dei casi è diagnosticata incapace di intendere e volere. In questo caso siamo di fronte a casi psicopatologici: depressione maggiore, disturbo bipolare, schizofrenia paranoide, epilessia nella classificazione di equivalente epilettico oppure un vissuto nella propria infanzia di maltrattamenti e violenze subite per mano dei propri genitori. Altre volte la lucida razionalità ha il sopravvento, come nel caso delle madri che uccidono perché convinte che il proprio figlio sia affetto da malattia invalidante oppure nel caso di un parto prematuro con l’impossibilità che si istauri un legame valido a causa della prolungata separazione. Le situazioni che maggiormente attivano il comportamento omicida non derivante ma disturbo mentale si possono ravvedere in:
Sono state tantissime le madri che hanno ucciso i figli prima di togliersi la vita, gesto messo in atto proprio per non lasciare i figli soli. Alcune volte il suicidio non è riuscito e molti sono i casi che hanno avuto risonanza mediatica per la loro natura violenta tra ferite da taglio, annegamenti, soffocamenti e avvelenamenti. Solo per ricordarne alcune:
Gran parte di questi casi si sarebbero potuti evitare se ci fosse stata maggiore attenzione da parte della famiglia, dell’amica o semplicemente l’aiuto della persona della porta accanto. Una madre o un padre non uccide mai all’improvviso, i prodromi del disagio psichico o emotivo ci sono sempre, devono essere riconosciuti e prendere contatti con lo specialista psichiatra il prima possibile e senza alcuna esitazione.
Dott.ssa Rosalba Trabalzini
Psichiatra, psicoterapeuta CBT, laureata in psicologia clinica