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Unioni civili e coppie di fatto

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La Camera dei deputati l’11 maggio 2016 ha approvato il testo di legge che regolamenta i diritti delle unioni civili, ovvero le coppie che non sono unite da vincolo matrimoniale religioso o civile, indipendentemente se eterosessuali o omosessuali. È una decisione storica per il nostro paese. Vediamo in breve i punti principali.

Coppie civili e unioni di fatto, due situazioni
Unioni civili e coppie di fatto non sono la stessa cosa. L’unione civile viene introdotta nel nostro ordinamento come specifica formazione sociale, richiamata anche nell’articolo 2 della Costituzione e dove si riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo. L’unione civile riguarda solo le coppie omosessuali e gli istituti del matrimonio o dell’unione civile, escludono di fatto la sussistenza della convivenza di fatto. Nella convivenza di fatto è il contratto di convivenza a regolare i rapporti patrimoniali. Nell’unione civile c’è invece come regime di partenza la comunione dei beni a cui si può rinunciare scegliendo la separazione. La convivenza di fatto, a differenza delle unioni civili, non dà diritto alla pensione di reversibilità.

A chi si rivolge la legge
Per essere considerati una coppia di fatto è necessario essere maggiorenni, uniti da legami affettivi e abitare nella stessa casa. Inoltre, ci si deve garantire nel quotidiano la reciproca assistenza morale e materiale. Se esistono questi requisiti, sono garantiti gli stessi diritti di cui godono le persone sposate: l’accesso ai dati personali in ambito sanitario e diritto di visita nell’ordinamento penitenziario. Il componente della coppia quindi potrà scegliere come proprio rappresentante il partner. Per esempio, in caso di malattia che causa compromissione della capacità di intendere e volere, per quanto riguarda la salute. In caso di decesso, il partner rappresentante potrà decidere per la donazione degli organi e per le modalità di celebrazione del funerale.

La casa e il diritto di abitazione
I conviventi d’ora in poi possono accedere alle graduatorie per l’edilizia popolare. In caso di morte del partner, proprietario della casa di residenza comune, il compagno superstite ha il diritto di abitarvi per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Se nella casa di comune abitazione ci sono i figli della coppia o di uno dei partner, il convivente che sopravvive alla morte del partner può rimanere nella casa comune per almeno tre anni. Se il partner muore o recede dal contratto d’affitto della casa di residenza della coppia di fatto, può succedere nel contratto.

Il contratto di convivenza
Un altro punto delicato, di cui si è occupata la legge, è come vanno disciplinati i rapporti patrimoniali: questo può avvenire con il contratto di convivenza che va scritto con un atto pubblico o una scrittura privata e in questo caso autenticato da un notaio o da un avvocato. Per valere anche verso terzi, ossia per i figli, l’atto deve essere comunicato all’anagrafe comunale, entro dieci giorni. Il contratto di convivenza serve a fissare la residenza comune, a indicare in che modo i due partner contribuiscono alle necessità della vita in comune, a scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni. Se la convivenza di fatto termina, il giudice stabilisce il diritto del partner a ricevere gli alimenti se si trova in stato di bisogno e non riesce a mantenersi. Gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nelle misure stabilite dal codice civile.

Il risarcimento in caso di decesso
Se il convivente di fatto muore per colpa di terzi, la legge stabilisce che per il risarcimento si applichino gli stessi criteri validi per il coniuge sposato. Infine ci sono i diritti per chi opera in coppia: se un convivente di fatto presta stabilmente la propria opera nell’impresa dell’altro convivente, ha diritto a partecipare agli utili e ai beni acquistati con essi, oltre che agli incrementi dell’azienda. Il diritto di partecipazione non spetta se tra i conviventi c’è una società o un rapporto di lavoro subordinato. Uno dei due partner può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno in caso di interdizione o inabilitazione del partner.

Sahalima Giovannini

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