Scoprire prestissimo, poche settimane dopo la nascita, se il proprio bambino ha un disturbo uditivo, è essenziale per intervenire prima possibile ed evitare che subentrino problemi al linguaggio e addirittura allo sviluppo neurologico. È quanto suggerito dalle linee guida internazionali del Joint Committee on Infant Hearing, il quale indica la necessità di una diagnosi precoce, entro i tre mesi di vita, e l’avvio di un trattamento che prevede una terapia riabilitativa a livello uditivo attraverso apparecchi acustici entro i sei mesi per tutti i neonati con problemi di udito.
Le cause della sordità infantile
Secondo gli esperti il 50% delle sordità congenite sono genetiche. I bambini con un solo genitore con problemi di udito hanno il 15% di possibilità in più rispetto agli altri bambini di soffrirne a loro volta, mentre avere entrambi i genitori con questo difetto, aumenta la possibilità al 25%. Esistono tuttavia casi di coppie non udenti che hanno messo al mondo uno o più bambini perfettamente sani. Se ci sono casi di disturbi all’udito in famiglia, è importante sottoporre il neonato ad appositi test diagnostici entro il sesto mese di vita. Il parto potrebbe essere il momento iniziale del problema uditivo. Si verifica quando c’è una sofferenza fetale, quando, cioè, il bambino non riesce a passare con sufficiente rapidità attraverso il canale di parto della madre e resta, quindi, momentaneamente privo di ossigeno. Anche venire al mondo prima del tempo, rappresenta un rischio per la salute dell’udito. Infatti i bimbi nati prima della 30a settimana di gestazione non sono ancora del tutto maturi per la vita e hanno bisogno di qualche tempo, ancora nel ventre materno per la completa formazione degli organi. Un altro fattore di rischio per l’udito, anche in questo caso in gravidanza, sono infezioni da parte di virus e batteri responsabili di parotite, meningite, morbillo, varicella e altre malattie. Anche otiti ripetute e trascurate possono causare deficit uditivi.
Gli esami da fare
Per effettuare la diagnosi di disturbi uditivi è possibile ricorrere ad alcuni esami. Le otoemissioni acustiche sono l’esame più semplice, permettono di valutare la funzionalità delle cellule cocleari o chiocciola, ricca di cellule nervose che captano i segnali sonori. All’orecchio del bambino vengono inviati suoni diretti verso la coclea, attraverso una piccola sonda. Se la coclea funziona bene, essa invia in risposta onde sonore che vengono registrate dalla stessa sonda. I Potenziali Evocati Uditivi tronco-encefalici o Auditory Brainstem Response – PEU o ABR. Consistono in esami più approfonditi, di II e III livello, permettendo di valutare sia la funzione del nervo acustico e delle vie uditive fino al cervello, sia il grado di perdita uditiva nei bambini che non presentano otoemissioni acustiche. L’esame si esegue ponendo una speciale cuffia sulle orecchie del bambino. La cuffia invia uno stimolo sonoro complesso, che evoca un’attività elettrica a livello del nervo acustico e delle vie uditive fino al cervello. Tale attività è registrata da appositi elettrodi e convertita in un tracciato grafico da un’apposita macchina. Infine, la timpanometria controlla l’elasticità e la funzionalità di timpano e degli ossicini dell’orecchio medio. Consiste nel comprimere l’aria nel condotto uditivo e nel misurare le modificazioni del timpano. Se questo modifica la propria posizione, non ci sono problemi, mentre se non si muove, è possibile che ci sia un versamento di muco o pus all’interno della cassa, cioè un’otite media che va curata.
Lina Rossi