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Ancora un bambino perso per mano di un genitore

infanticidio
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Ancora oggi, gennaio 2025, ci troviamo a riflettere su un tema tanto antico quanto tragico: l’infanticidio, ovvero l’uccisione dei figli da parte dei genitori. Questo fenomeno raccapricciante, purtroppo, ha radici storiche profonde e porta con sé una serie di implicazioni sociali e psicologiche che meritano la nostra attenzione e considerazione.

Cosa ci racconta la storia dell’infanticidio

La storia ci posta indietro a migliaia di anni fa. Un esempio emblematico è il racconto biblico di Abramo e Isacco, in cui Abramo quasi sacrifica suo figlio su ordine divino, fermato solo dall’intervento di un angelo. Questo episodio, seppur simbolico, mette in luce come il sacrificio e la sottomissione ad autorità superiori siano state un tempo percepite come giustificazioni per tali atti. Tuttavia, il racconto evidenzia la salvezza di Isacco, un segno che, anche nei tempi antichi, si percepiva l’orrore di tali sacrifici. Nei secoli successivi, la narrazione mitologica di Medea di Euripide evidenzia un altro aspetto dell’infanticidio: la vendetta. Medea, ferita dal tradimento del suo compagno, arriva a uccidere i propri figli per punire l’amante, dimostrando come emozioni estreme possano superare la razionalità parentale. Queste storie, sebbene antiche, hanno parallelismi sconcertanti con le crisi familiari moderne, in cui dolore e rabbia possono sfociare in atti irreparabili.

Esaminando i dati attuali, cosa possiamo vedere

Purtroppo, siamo ancora di fronte a numerosi casi di infanticidio e violenze domestiche. In Italia, un considerevole numero di minori subisce abusi in vari modi, spesso per mano di persone che dovrebbero essere i loro protettori. Negli Stati Uniti, le statistiche rivelano che la maggior parte delle morti infantili per violenza vede come responsabili i genitori stessi. Dietro questi atti estremi, spesso, si celano motivazioni complesse. Molti genitori che commettono gesti fatali soffrono di gravi problemi psicologici, come depressione maggiore, disturbi bipolari o schizofrenia. In altri casi, quella che sembra essere una scelta razionale può avere le sue radici in un altruista travisato e distorto o una percezione distorta della sofferenza infantile. Purtroppo, i media ci riportano spesso storie di madri e padri che hanno commesso tali crimini, portando alla ribalta terribili incidenti come quelli di Edlira, Franzoni, e molti altri. Ognuno di questi casi rappresenta una tragedia che forse avrebbe potuto essere evitata con interventi tempestivi e un supporto adeguato.

Cosa possiamo fare per prevenire ulteriori tragedie

Innanzitutto, è fondamentale aumentare la consapevolezza e l’educazione attorno ai segnali di disagio psichico. I parenti, gli amici e i vicini di casa devono essere in grado di riconoscere i segnali di allarme e sentirsi autorizzati ad agire, magari incoraggiando le persone in difficoltà a cercare un supporto professionale. La società deve inoltre fornire un accesso più facile e meno stigmatizzato ai servizi di salute mentale. In molti casi, una diagnosi precoce e un supporto adeguato possono fare la differenza tra la vita e una tragedia. Infine, è essenziale promuovere un ambiente in cui l’amore verso i figli non sia distrutto da pressioni sociali o personali non gestibili. Costruire un sostegno comunitario forte e inclusivo può aiutare le famiglie a sentirsi meno isolate e più disposte a cercare aiuto quando necessario.

Concludendo, l’infanticidio è una ferita profonda nel tessuto della nostra società. Sta a noi lavorare insieme per prevenire questi atti, proteggendo i più vulnerabili e offrendo supporto a coloro che soffrono. Solo così potremo costruire un futuro in cui l’orrore di queste tragedie possa diventare un lontano ricordo.

Dott.ssa Rosalba Trabalzini

Medico psichiatra, CTU nei Tribunali penali, Laureata in Psicologia Clinica

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